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Paracetamolo in gravidanza: nessun legame con autismo e ADHD nei bimbi, secondo il British Medical Journal

Una revisione sistematica dell’Università di Liverpool smonta le ipotesi di correlazione. Congetture destituite di fondamento, le gestanti possono stare tranquille, e continuare ad assumere il farmaco in sicurezza.

Il paracetamolo è da decenni uno dei farmaci più studiati e più utilizzati per il trattamento del dolore e della febbre, anche durante la gravidanza. Considerato sicuro dalle principali agenzie regolatorie internazionali, è spesso la prima scelta terapeutica per le donne in dolce attesa. Tuttavia, negli ultimi anni, alcune pubblicazioni estemporanee e notizie rimbalzate sui giornali generalisti avevano sollevato dubbi, ipotizzando un possibile legame tra l’assunzione del farmaco in gravidanza e lo sviluppo di disturbi neurocomportamentali nei bambini, come l’autismo e il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ora sappiamo che quelle congetture sono destituite di fondamento. A fare chiarezza su questo tema è ora una revisione sistematica pubblicata sul British Medical Journal, che mette in discussione la validità delle evidenze finora disponibili.

Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Liverpool, ha analizzato nove revisioni sistematiche sull’argomento, per un totale di 40 studi esaminati. L’obiettivo era valutare la qualità metodologica delle ricerche esistenti sulla gravidanza e la presunzione di rischi di autismo o ADHD nella prole. I risultati sono inequivocabili: la fiducia complessiva nei dati delle revisioni è risultata bassa in due casi e criticamente bassa in ben sette. “La nostra analisi evidenzia la mancanza di prove solide che colleghino la prescrizione del paracetamolo in gravidanza all’autismo e all’ADHD nei figli”, hanno dichiarato gli autori, sottolineando come molti degli effetti osservati negli studi precedenti potrebbero essere attribuiti, casomai, a fattori genetici e ambientali condivisi all’interno delle famiglie.

La revisione ha utilizzato strumenti riconosciuti per valutare la qualità delle evidenze, classificando ogni studio in base alla robustezza metodologica e alla validità dei risultati. Il verdetto è stato netto: le revisioni esistenti non offrono basi scientifiche sufficienti per sostenere un’associazione causale tra il farmaco e i disturbi neurocomportamentali. “Gli organismi di regolamentazione, i medici, le donne in gravidanza, i genitori e le persone con autismo e ADHD dovrebbero essere informati della scarsa qualità delle revisioni esistenti”, hanno aggiunto gli esperti, invitando a non diffondere allarmismi infondati. Le terapie che comprendono il paracetamolo sono raccomandate dalle principali autorità sanitarie mondiali come trattamento di prima linea per il dolore e la febbre in gravidanza. La loro sicurezza è stata confermata da numerosi studi e dalle valutazioni di enti regolatori come l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense. “Alle donne dovrebbe essere consigliato di assumere paracetamolo quando necessario per trattare il dolore e la febbre in gravidanza”, ribadiscono i ricercatori, sottolineando l’importanza di un’informazione corretta e basata su evidenze scientifiche affidabili.

La pubblicazione sul British Medical Journal arriva a fugare ogni dubbio e a smontare certi pregiudizi irrazionali. In un contesto in cui la disinformazione può avere conseguenze concrete sulla salute, lo studio dell’Università di Liverpool rappresenta un contributo fondamentale per ristabilire un quadro di riferimento scientifico solido. La questione del paracetamolo in gravidanza è emblematica di un fenomeno più ampio: la necessità di valutare con rigore le evidenze scientifiche prima di trarre conclusioni che possano influenzare la percezione e la narrazione su temi sensibili. In un’epoca in cui la medicina è sempre legata ai dati oggettivi, la qualità delle revisioni e la trasparenza metodologica diventano elementi imprescindibili per garantire decisioni informate e sicure.

In conclusione, il messaggio che emerge dal report del British Medical Journal è definitivo: le gestanti possono continuare ad assumere il farmaco quando necessario, al bisogno, con la serenità di chi si affida a una medicina basata su evidenze e certezze.

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