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Plastica e salute umana: nuove ricerche svelano l’impatto delle microplastiche sul corpo


La plastica e le sue particelle invisibili sono sempre più presenti nel corpo umano. Al Planetary Health Festival di Verona è stato presentato “Tutta la plastica che non vediamo”, il primo rapporto internazionale che analizza le micro e nanoplastiche negli organi umani e le loro possibili connessioni con patologie gravi.

La plastica è una presenza costante nella nostra vita quotidiana, ma le sue conseguenze sulla salute stanno emergendo solo ora grazie a ricerche innovative. Durante il Planetary Health Festival di Verona, il rapporto “Tutta la plastica che non vediamo” ha fatto luce sul fenomeno dell’accumulo di micro e nanoplastiche (MNP) nel corpo umano. Questo studio, condotto dai ricercatori dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, rappresenta una sintesi di indagini scientifiche globali sull’argomento.

I risultati sono allarmanti: le microplastiche sono state trovate in organi vitali come il cervello, la placenta e il sistema cardiovascolare. In particolare, i livelli rilevati nel cervello sono equivalenti a un terzo del peso di una bottiglia di plastica da 1,5 litri, una quantità sorprendente se si considera che queste particelle sono invisibili a occhio nudo.

Come entrano le microplastiche nel corpo?

La plastica penetra nel corpo umano attraverso diverse vie. Le fonti principali includono:

  • aria: le particelle di plastica sospese nell’aria vengono inalate quotidianamente, sia in ambienti chiusi sia all’aperto;
  • acqua: l’acqua in bottiglia è una delle principali responsabili, contenendo concentrazioni di microplastiche spesso superiori a quelle dell’acqua del rubinetto;
  • cibo confezionato: gli imballaggi di plastica rilasciano particelle che contaminano gli alimenti;
  • prodotti cosmetici e per la cura della pelle: molti contengono microsfere di plastica che, oltre a finire nei sistemi di scarico, possono essere assorbite direttamente dalla pelle;
  • oggetti riscaldati: bustine di tè in nylon e biberon esposti al calore rilasciano quantità significative di MNP.

Le nanoplastiche e la barriera ematoencefalica

Uno degli aspetti più inquietanti emersi dal rapporto riguarda la capacità delle nanoplastiche di attraversare la barriera ematoencefalica. Questa struttura protegge il cervello da sostanze tossiche presenti nel sangue, ma sembra che le nanoplastiche riescano a superarla, accumulandosi nelle cellule cerebrali. Questo fenomeno è stato associato a un aumento dello stress ossidativo, un processo che può danneggiare le cellule e favorire l’insorgenza di patologie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Plastica e sistema riproduttivo

Un’altra scoperta importante riguarda la presenza di microplastiche nella placenta umana. Uno studio ha rilevato frammenti di plastica in placente esaminate post-parto. Queste particelle potrebbero interferire con lo sviluppo fetale, anche se gli effetti a lungo termine sono ancora oggetto di studio. Si ipotizza che possano alterare il funzionamento degli ormoni placentari, con possibili ripercussioni sulla salute del neonato.

Le implicazioni cardiovascolari

Il rapporto evidenzia anche l’impatto delle microplastiche sul sistema cardiovascolare. Le particelle possono entrare nel flusso sanguigno attraverso il tratto gastrointestinale e raggiungere organi vitali come il cuore. Studi preliminari hanno trovato correlazioni tra l’accumulo di microplastiche e un aumento del rischio di malattie cardiovascolari, incluso l’ictus. Le microplastiche sembrano infatti favorire la formazione di placche aterosclerotiche, che possono restringere le arterie e compromettere il flusso sanguigno.

Plastica e alterazioni ormonali

La plastica non è solo fisicamente invasiva, ma anche chimicamente pericolosa. Molti polimeri contengono additivi chimici come il bisfenolo A (BPA) e gli ftalati, noti per essere interferenti endocrini. Questi composti possono imitare o bloccare gli ormoni naturali, interferendo con funzioni vitali come il metabolismo, la riproduzione e il sistema immunitario.

Ad esempio, uno studio recente ha trovato che l’esposizione cronica a piccole quantità di BPA è correlata a un aumento del rischio di diabete di tipo 2 e obesità, due condizioni che sono in crescita a livello globale.

L’accumulo nel tratto gastrointestinale

Anche il tratto gastrointestinale non è immune agli effetti delle microplastiche. Qui, le particelle possono causare infiammazioni croniche, alterando la composizione del microbiota intestinale, l’insieme di batteri che svolge un ruolo cruciale nella digestione e nella regolazione del sistema immunitario. Un microbiota alterato è stato associato a malattie autoimmuni, allergie e disturbi metabolici.

Un problema di ampia portata

La plastica non si limita a danneggiare il corpo umano, ma ha implicazioni che si estendono a tutto l’ecosistema. Una volta rilasciate nell’ambiente, le microplastiche si accumulano nella catena alimentare, partendo dagli organismi marini fino agli esseri umani. I pesci e i frutti di mare che consumiamo spesso contengono elevate concentrazioni di microplastiche, che finiscono per contaminare il nostro organismo.

Le implicazioni economiche sono altrettanto significative: i sistemi sanitari potrebbero dover affrontare costi crescenti legati al trattamento di malattie correlate alla plastica, mentre settori produttivi come l’agricoltura e la pesca rischiano di subire perdite a causa della contaminazione ambientale.

Il ruolo della ricerca futura

Gli scienziati sottolineano l’importanza di approfondire ulteriormente questi temi. Mentre il rapporto “Tutta la plastica che non vediamo” ha fornito una prima panoramica delle problematiche legate alla plastica, restano molte domande senza risposta. Ad esempio, quali sono i livelli di esposizione sicuri? Esistono materiali alternativi in grado di sostituire la plastica senza creare ulteriori problemi ambientali o sanitari?

La ricerca continua a cercare soluzioni innovative per affrontare questa crisi globale, ma nel frattempo è fondamentale aumentare la consapevolezza pubblica e adottare misure preventive per limitare l’esposizione.

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