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Prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro: il rischio aggressione

Il tema della sicurezza degli operatori sanitari (definizione da intendersi comprensiva del personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria nonché di coloro che svolgono attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso) è purtroppo sempre all’ordine del giorno.

I dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità confermano un alto rischio di violenza in tutti gli stati membri (193 a gennaio 2025). Secondo gli ultimi dati, addirittura il 62% degli operatori ha subito almeno un episodio di violenza negli ospedali o comunque sul posto di lavoro da parte di pazienti o visitatori: dalle minacce e aggressioni verbali alla violenza fisica e alle molestie sessuali fino all’omicidio.

Il legislatore nazionale è da tempo attento alla questione. Peraltro, la necessità di protezione degli operatori sanitari è stata considerata in particolare dal punto di vista penale (da ultimo il D.L. n. 137/2024 convertito dalla Legge n. 171/2024). Gli aspetti penalistici saranno affrontati nel prossimo articolo della rubrica.

E’ tuttavia evidente che il tema deve essere affrontato non solo dal punto di vista penale, vale a dire della punizione dell’autore del comportamento violento, ma anche e soprattutto in un’ottica di prevenzione.

Non è questa la sede per un approfondimento sociologico: mantenendo un taglio giuridico, si vuole qui dare attenzione al tema della sicurezza su lavoro.

I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a mettere in atto tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli operatori sanitari: le misure in questione sono nella sostanza quelle idonee a individuare con immediatezza e certezza l’autore del fatto così generare un effetto dissuasivo dal porre in essere i comportamenti violenti.

Si tratta di un obbligo per i datori di lavoro, che, in assenza di norme di legge specifiche, discende dal principio generale contenuto nell’articolo 2087 del Codice Civile, per cui “l’imprenditore è tenuto a adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

In effetti, neppure nel Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) è specificatamente previsto e regolamentato quello che potrebbe definirsi come rischio aggressione. Tuttavia, come detto, il principio generale dell’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro dell’integrità fisica e della personalità morale dei lavoratori ne impone la valutazione.

Tant’è che già nel novembre 2007 il Ministero della Salute aveva emanato la Raccomandazione n. 8 “per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”, fornendo indicazioni su procedure e misure da adottare per eliminare e/o ridurre al minimo l’esposizione al rischio aggressione.

Fermo restando l’obbligo per le strutture sanitarie di “mettere in atto un programma di prevenzione della violenza”, con la Raccomandazione il Ministero della Salute fornisce una sorta di linee guida per predisporre una procedura, indicando le azioni utili allo scopo, di seguito sintetizzate, che non hanno perduto di attualità.

  1. Elaborazione di un programma di prevenzione
    Con il programma di prevenzione ciascuna struttura sanitaria è tenuta a perseguire le seguenti finalità: diffondere una politica di tolleranza zero verso atti di violenza, fisica o verbale, e assicurarsi che operatori, pazienti, visitatori ne siano a conoscenza; incoraggiare il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi; facilitare il coordinamento con le Forze di Polizia o altri soggetti che possano fornire supporto per identificare le strategie atte a eliminare o attenuare la violenza; affermare l’impegno della Direzione per la sicurezza nelle proprie strutture.
    Per la realizzazione del programma è raccomandata la costituzione di un gruppo di lavoro qualificato e con disponibilità di risorse idonee ai rischi presenti, con la presenza di un referente della Direzione Sanitaria, uno dell’Area Affari Legali e/o Gestione Risorse Umane, un rappresentante della professione infermieristica e uno della professione medica, individuati nei settori a alto rischio, un addetto alla sicurezza dei luoghi di lavoro e un rappresentante del servizio di vigilanza, oltre al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.
  2. Analisi delle situazioni lavorative
    Il gruppo di lavoro, o altro soggetto individuato dalla Direzione, nell’ambito dell’analisi, deve individuare i fattori di rischio, esistenti e potenziali. La Raccomandazione indica gli step dell’analisi: (i) revisione degli episodi di violenza segnalati, con l’esame dei dati documentali relativi a lesioni subite e patologie conseguenti; (ii) conduzione di indagini ad hoc presso il personale, tra l’altro con strumenti quali questionari e/o interviste; (iii) analisi delle condizioni operative e dell’organizzazione nei servizi considerati maggiormente a rischio, anche svolgendo sopralluoghi negli ambienti in cui si sono verificati gli episodi di violenza.
  3. Definizione e implementazione di misure di prevenzione e di controllo, distinte tra misure strutturali e tecnologiche e misure organizzative
    Nell’indicazione delle soluzioni di tipo strutturale e tecnologico la Raccomandazione è estremamente pratica: potrà stupire leggere passaggi di assoluto buon senso, ma evidentemente si rende necessario il richiamo, a titolo esemplificativo, a installare e mantenere in funzione impianti di allarme o altri dispositivi quali pulsanti antipanico, allarmi portatili, telefoni cellulari, ponti radio nei luoghi dove il rischio è elevato; a assicurare la disponibilità di metal-detector atti a rilevare la presenza di armi metalliche; a installare un impianto video a circuito chiuso, con registrazione sulle 24 ore, nelle aree a elevato rischio; a assicurare sistemi di illuminazione idonei e sufficienti sia all’interno della struttura che all’aperto; a sostituire e/o riparare, con urgenza, finestre e serrature rotte.
    Lo stesso può dirsi per le misure organizzative, tra le quali troviamo l’indicazione alla Direzione di esporre chiaramente a pazienti, accompagnatori, personale che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati; di sensibilizzare il personale affinché vengano sempre segnalate aggressioni o minacce; di predisporre la presenza e disponibilità di un team addestrato a gestire situazioni critiche e a controllare pazienti aggressivi, in particolare durante i momenti e nelle aree a rischio più elevato (durante il trasporto del paziente, nella risposta all’emergenza, nelle ore notturne, in accettazione, nelle unità di emergenza o di trattamento acuto); di assicurarsi che i pazienti in attesa di una prestazione sanitaria ricevano informazioni chiare sui tempi di attesa; di scoraggiare il personale dall’indossare collane o usare stringhe per scarpe allo scopo di prevenire un possibile strangolamento in situazioni critiche; di assicurarsi che gli accessi alle strutture e l’area di parcheggio siano ben illuminati.
    La Raccomandazione introduce anche il tema della gestione degli episodi di violenza, sottolineando l’opportunità che sia previsto un trattamento a sostegno agli operatori vittime di violenza o traumatizzati per avere assistito a un episodio, compresa una valutazione psicologica, a prescindere dalla severità del caso.
  4. Formazione del personale
    La finalità della formazione è che tutto il personale conosca le procedure da seguire per proteggere se stessi e i colleghi da atti di violenza. La Raccomandazione prescrive di diversificare i contenuti in base alla tipologia di operatore cui la formazione è rivolta (generalità degli operatori, operatori a rischio, management, personale di sicurezza).
    Quindi, tenendo a mente l’obbligo del datore di lavoro di conformare le proprie scelte e azioni al criterio della massima sicurezza possibile, sempre nel rispetto dei dati dedotti dall’esperienza e dalla tecnica, nello stato in cui sono nel momento contingente, è doveroso per le Direzioni sanitarie e socio-sanitarie prendere in considerazione gli strumenti che il progresso tecnico e tecnologico rende disponibili per ridurre al massimo possibile il rischio aggressione e le conseguenze dello stesso. Accanto alla presenza del posto di polizia in struttura h24, misura non dipendente direttamente dal datore di lavoro, sono stati sviluppati braccialetti che consentono agli operatori un’immediata chiamata di emergenza, bodycam che registrano immagini e voci, app per la tracciabilità di ogni paziente in struttura. Emerge, tuttavia, che l’individuazione concreta degli stessi rimane comunque non semplice e delicata per l’impatto sul trattamento dei dati.
    Si ritiene di segnalare che la Regione Lombardia si è spesa con particolare impegno nel fornire strumenti per affrontare il fenomeno degli atti di violenza nel settore sanitario: con la DGR XI/1986 del 23.07.2019, con cui si definisce la modalità di analisi e gestione del rischio relativo agli atti di violenza a danno degli operatori sanitari in ambito ospedaliero, con la Legge Regionale n. 15 del 08.07.2020, con la DGR XI/6902 del 05.09.2022, che approva le azioni preventive e correttive specifiche per fronteggiare gli episodi di aggressione nei Pronto Soccorso, e infine con la DGR n. XII/3672 del 16.12.2024 che contiene il “Documento di indirizzo sulla prevenzione e la gestione degli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”.
    In particolare, il Documento offre un’impostazione sistematica per la gestione del fenomeno in esame a partire dell’analisi del rischio e con la strutturazione delle misure preventive sia strutturali-tecnologiche sia organizzative, con particolare attenzione all’area critica del Pronto Soccorso. Tra l’altro, gli Allegati al Documento forniscono un supporto concreto.
    Basando l’approccio sui principi del Risk Assessment e del Risk Management, il Documento mira alla partecipazione attiva delle Direzioni e dei lavoratori, implementando percorsi di formazione specifica per il personale, per aumentare la consapevolezza e le competenze nella gestione di situazioni di conflitto.
    Non solo: il Documento non dimentica la necessità della cd. prevenzione primaria, sottolineano l’importanza di “tutte le attività volte al cambiamento culturale, di informazione e sensibilizzazione rivolte ai cittadini con lo scopo di istruirli sull’offerta dei servizi territoriali, sulle modalità di accesso e sulla appropriatezza dello stesso e con l’intento di enfatizzare il rispetto per la professionalità degli operatori sanitari”, principio sul quale tutti concordiamo e vorremmo pienamente rispettato.

Anna Albè
founding partner dello studio legale Albè & Associati

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