L’unica strada è puntare sulla cultura della prevenzione
Novantesette morti nei primi mesi del 2025 con un aumento significativo delle malattie professionali, oltre 3.300 lavoratori deceduti dal 2021, carenze gravi di conoscenze e di cultura delle prevenzione sui luoghi di lavoro che pure è un diritto e in dovere fondamentale per tutelare la vita e il lavoro, dare centralità alle figure precipue dedicate alla prevenzione sui luoghi di lavoro (non solo gli ispettori dell’Inps ma anche i tecnici della prevenzione impiegati nelle Asl), dare importanza alla valutazione del rischio in ogni ambiente di vita e di lavoro: insomma fare Salute e parlare di Sicurezza sul lavoro per sensibilizzare l’opinione pubblica ma soprattutto datori di lavoro ed istituzioni sulle opportunità e urgenze dell’attuazione delle norme antinfortunistiche. Sono questi gli scopi della giornata mondiale per la Salute e la Sicurezza sul lavoro che si celebra il 28 aprile.
Del resto il 2025 si è aperto subito con un bilancio drammatico sul fronte della sicurezza nei luoghi di lavoro. A gennaio di quest’anno si sono registrati 60 decessi,15 in più rispetto allo stesso mese del 2024, con un aumento del +33,3%. La distribuzione settimanale delle morti rivela che il martedì è stato il giorno con più infortuni mortali (23,9% del totale) ma è solo un dato statistico privo per ora di una identificazione di un rapporto causa effetto con elementi salienti relativi al calo della sicurezza attiva o passiva.
Le Regioni
A livello territoriale, il rischio infortunistico varia sensibilmente tra le diverse regioni italiane. Secondo la mappatura dell’Osservatorio sicurezza la suddivisione delle regioni in base all’incidenza degli infortuni mortali (calcolata sulle vittime in occasione di lavoro per milione di occupati) vede collocata in Zona rossa (rischio più elevato) Umbria, Trentino-Alto Adige, Calabria, Basilicata, Puglia, Piemonte. In Zona arancione la Campania e il Veneto, in Zona gialla Lombardia, Liguria e Marche e in Zona bianca dunque con un rischio più basso, la Toscana, il Lazio, la Sicilia e l’Emilia-Romagna. Qui troviamo anche le regioni senza vittime ossia Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Sardegna e Valle d’Aosta.
Nel primo mese del 2025, i numeri assoluti delle vittime in occasione di lavoro (quindi con esclusione degli infortuni in itinere) si registra in Lombardia: 8 morti in occasione di lavoro, Piemonte, Veneto e Puglia: 5 morti ciascuna, Campania e Umbria: 4 morti ciascuna, Trentino-Alto Adige e Calabria: 3 morti ciascuna, Lazio e Toscana: 2 morti ciascuna, Sicilia, Marche, Liguria, Emilia-Romagna e Basilicata: 1 morto ciascuna. In Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Valle d’Aosta, Sardegna e Molise non si è rilevata alcuna vittima sul lavoro. Nei mesi successivi un incremento significativo si è registrato soprattutto in Campania.
TRASPORTI E MAGAZZINAGGIO IL PIÙ COLPITO
I dati settoriali mostrano che il trasporto e magazzinaggio è il comparto con il maggior numero di decessi in occasione di lavoro (6 morti). Seguono le attività manifatturiere e le costruzioni: 4 morti ciascuna. L’analisi per fasce d’età evidenzia che il rischio infortunistico colpisce sia i lavoratori più esperti sia quelli più giovani, con dinamiche e cause differenti. confermando un rischio più elevato per 55-64 anni: tasso di incidenza più alto (4,5 decessi per milione di occupati) 15-24 anni: seconda fascia più colpita (2,5 decessi per milione di occupati). A gennaio 2025, 10 delle 46 vittime in occasione di lavoro erano lavoratori stranieri, registrando un’incidenza di 4,2 morti per milione di occupati, più del doppio rispetto agli italiani (1,7 per milione).
Purtroppo ogni giorno anno muoiono 3 o 4 persone sul lavoro, circa mille all’anno senza contare infortuni e malattie correlate all’impiego svolto. Prevenzione trascurata, formazione insufficiente, sottovalutazione del rischio gli elementi che incidono su un fenomeno dietro al quale si celano vite spezzate, famiglie distrutte, bambini resi orfani. Morti evitabili se ci fosse la formazione e la prevenzione a cui molte aziende si sottraggono e che spesso i lavoratori non pretendono sottovalutandone l’importanza mentre pene e sanzioni sono spesso inefficaci come dimostrano studi e analisi condotti in tutta Europa e i controlli si rivelano utili solo se riescono a incedere sulla propensione delle aziende a diventare consapevoli dell’importanza della prevenzione come investimento sul personale come risorsa insostituibile nella produzione. Un rimedio?
Credere nella sicurezza come leva strategica per la riuscita dell’impresa alla stessa stregua del prodotto. Per questo servono norme e leggi che incentivino gli investimenti in sicurezza a tutti i livelli e attuando le norme che ci sono, rendendo la formazione dei lavoratori obbligatoria a patto che sia di qualità e non intesa come mero adempimento formale come spesso accade con i corsi on line con poche ore trascorse dietro a uno schermo .Si tratta insomma di portare avanti la cultura della salute e sicurezza.