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Verso la società della Paura e dell’ angoscia

Angoscia, paura del futuro, noia, gli elementi del nostro tempo. Senza ombra di dubbio viviamo in un’epoca caratterizzata da sentimenti diffusi di angoscia e paura, in cui prevale l’idea del “futuro-minaccia” su quella di un “futuro-speranza” (Benasayag, 2013). Sulla base di tale ipotesi possiamo affermare che, per le nuove generazioni, l’orizzonte del futuro non è più una promessa ma una minaccia. E quando il tempo futuro si fa spaventoso, incerto, precario e minaccioso perde il suo positivo potere di retroagire nel tempo presente come motivazione. Il diffuso clima di angoscia soffoca, schiaccia ogni seme della speranza. Insieme all’angoscia si fa strada uno stato d’animo depressivo. Alcune conseguenze, a livello psicosociale, sono rinvenibili nella constatazione che oggi nessuno è più disposto a sacrificare il proprio “attimo sfuggente”, per quanto insignificante e fugace, in cambio di un incerto domani che paralizza ogni azione, slancio. I recenti eventi mondiali (guerre, crisi economiche a grappolo, precarietà selvaggia, globalizzazione brutale, tracollo culturale generale, pandemie continue emergenze, il moltiplicarsi di guerre, l’inarrestabile crisi economica, ecc.), sembrano confermare, nelle persone (non solo nei pazienti), la paura del futuro. E’ innegabile che negli ultimi vent’anni abbiamo assistito al definitivo tramonto dello stare assieme. Dinnanzi alla crisi epocale la comunicazione digitale rende ancora più acuta l’ansia, l’isolamento e l’angoscia. Di anno in anno i social media smantellano, paradossalmente, lo spazio sociale, il senso di comunità delle persone. Essi sembrano condurci, in ultima analisi, all’erosione della coesione sociale e ad una distanza “marcata” tra i corpi parlanti ora costretti ad una relazione esclusiva con uno schermo. Siamo sicuramente connessi, tramite i satelliti, con mezzi digitali, alla perfezione, ma senza tuttavia essere legati (concretamente) gli uni agli altri. L’essere in relazione con l’altro viene sostituito dall’avere dei contatti, tanti e sconosciuti. Nello spazio dei social media niente ci turba e nessuno ci sfiora (realmente) e noi non sfioriamo niente e nessuno poiché tra noi e gli altri vi è una barriera, un table, un pc o un cellullare. E così viviamo in una società globale dove niente tocca nessuno a partire dalle emozioni vissute. Il contatto non fisico, a differenza del toccare e del sentirsi toccati da qualcosa o qualcuno, non istituisce alcuna vicinanza emozionale. Così l’altra persona, che ci comunica qualcosa, si riduce ad una ipotesi e regredisce e si presenta come un oggetto (cui destinare e proiettare i bisogni ego-centrici) la cui unica funzione è quella di soddisfare i bisogni oppure di confermare l’ Ego-Centrismo del singolo individuo: la relazione con l’altro diventa una “recita”, si atrofizza in modo radicale e rischia di non comunicarci nulla ma solo ansia, angoscia e incertezza. L’altra persona presente nella interazione pseudo-sociale, nel quale ci si rispecchia, perde la propria Alterità (come essere diverso da noi) e non ha nulla più da dire all’altro. Questo crescente narcicismo epocale ricade in ogni angolo della società, porta alla scomparsa dei legami autentici. Si intensifica l’angoscia e si annulla il futuro. Come ci ricorda il filosofo Galimberti, l’idea che il futuro sia sempre positivo è ciò che, per secoli, ha caratterizzato la vita nell’Occidente. Questa potente narrazione del mondo (modello), sin d all’epoca del Cristianesimo ha inondato di ragione, senso e di ottimismo la nostra cultura per centinaia di anni, incarnandosi in un vero e proprio inconscio collettivo di massa. Ne è nata una visione tripartita del tempo in cui il passato è male, il presente è redenzione e il futuro è salvezza (tale idea sconfinando dall’ambito religioso si è riverberata nella scienza dove il passato è, pur sempre, ignoranza, il presente è ricerca e il futuro è utile conoscenza). Indubbiamente la scienza e la tecnologia avranno pure migliorato le nostre condizioni di vita ma è ormai palese che, come diceva il filosofo Herbert Marcuse, la persona non è più il soggetto della storia, quanto piuttosto il mero ingranaggio di un meccanismo di cui gli sfuggono i confini, le ragioni autentiche e la finalità. Così come afferma Sigmund Freud, ideatore della psicanalisi, il passato è trauma, il presente è analisi e il futuro è ristabilimento, cura, guarigione. Nella nostra cultura insomma, il futuro è sempre il futuro di un tempo presente. Lo progettiamo partendo da quello che siamo adesso, ora, nel tempo presente. Il futuro non è “l’avvenire”. Il futuro è necessariamente legato al presente: è sempre il futuro di un determinato presente. Non potrebbe essere altrimenti; quando noi pensiamo al futuro, non possiamo far altro che partire dal presente in cui viviamo, dalle idee, attese, silenzi, mutamenti, sogni, speranze, ipotesi, immaginazioni, che abitano il nostro presente. Sulle orme di Derrida possiamo distinguere due forme di futuro: il futuro e l’avvenire. Il futuro riguarda quelle cose che poi, domani, tra un anno, avranno luogo. In questa forma è prevedibile, pianificabile, calcolabile e quindi è possibile anche trasformarlo. L’avvenire, invece, riguarda eventi che si presentano pur essendo completamente inaspettati. L’avvenire si sottrae a ogni calcolo e pianificazione, ci apre un campo di possibilità del quale non è concesso appropriarsi, annuncia l’avvento dell’Altro. A contraddistinguere l’avvenire è la sua indisponibilità. Esperienze come una profonda gioia o un amore pieno di passione hanno il loro polo negativo. Quest’ultimo costituisce il bordo all’interno del quale tali esperienze si radicano e crescono. Sebbene sia forse scontato, è opportuno ricordare Nietzsche ci avvisava di guardare bene in faccia il nostro nemico, quel nichilismo in cui manca lo scopo verso il futuro, in cui non c’è risposta al perché e in cui tutti i valori si svalutano, e si rimane immobile dinnanzi al flusso della vita. Pertanto l’angoscia, che non è un fatto solo privato o psichico, è anche uno strumento di dominio diffuso, in mano ai potenti del Mondo, uno strumento di dominio di massa. Contro la società dell’angoscia non vi è spazio per la solidarietà. Angoscia, paura, identificazione in un leader statale e risentimento spingono numerose persone tra le braccia delle destre populiste e alimentano l’odio per tutto ciò che appare diverso da noi. La solidarietà, l’altruismo e l’empatia subiscono un’erosione, una crisi senza tempo. Il mondo così si presenta come un mondo di paura, di minacce, di terrore, Rende le persone timorose, angosciate, ubbidienti e ricattabili. Al giorno d’oggi proviamo angoscia e paura per ogni cosa che ci circonda nel sociale: per la crisi delle democrazie e le guerre o i terremoti, per la mancanza del lavoro per i nostri figli, per l’aumento della crisi economica e dei mercati, per l’aumento dei prezzi sulle materie prime, i virus e le guerre. L’angoscia ci priva del futuro. In un clima dominato dall’angoscia le persone non si fidano più di esprimere liberamente la loro opinione, e questo avviene proprio per il timore di essere repressi, minacciati. L’angoscia preclude ogni accesso all’ Altro, a chi è diverso ad noi. L’espandersi dell’angoscia e il crescere del risentimento innescano una forma di regressione della società nel suo insieme e, in ultima analisi, mettono in pericolo la salute personale (mondo interiore) e la democrazia (mondo esteriore). Oggi viviamo uno stato di paura e angoscia persino per l’attività del pensare (area cognitiva) mentre il coraggio di pensare (lo sguardo verso il futuro) e la lucidità (la psiche a tratti viene sommersa dalla comunicazione inarrestabile dei media e social e della comunicazione globale) sembrano averci abbandonato a noi stessi. Ricordiamo che l’attività del pensare ci consente l’accesso a ciò che è completamente Altro da Noi. E, dove domina l’angoscia e la paura, nessuna libertà e benessere è possibile. Angoscia, cura e libertà di agire (nel bene) si escludono a vicenda. Ci troviamo in una situazione in cui l’angoscia ha molteplici facce. Giriamo nel mondo globale come se non potessimo fare nulla per cambiare il clima epocale, rispetto a guerre e catastrofe. Carichi di paura e angoscia volgiamo le spalle al futuro e percepiamo solo un futuro tetro. Manca la speranza e la solidarietà verso l’altro, gli ultimi, gli esclusi. Sembriamo passare da una difficoltà (crisi) a un’altra, da una catastrofe a un’altra. L’angoscia priva l‘umanità di ogni speranza e del senso di comunità solidale. Niente di nuovo nasce quando si è preda della paura e dell’angoscia. Quando il futuro ci appare lontano all’orizzonte non sembra più possibile nessuna partenza, nessun domani, nessun incipit vita nova. La speranza è salto verso il futuro, slancio che ci libera dalla depressione, da un futuro esausto. Il senso epocale dell’angoscia ci mette in condizione di essere senza idee, senza un orizzonte di senso: il tempo presente viene ridotto solo a sé stesso, senza alcun domani, senza alcun futuro, non è più la temporalità dell’azione che si decide per il nuovo inizio. La temporalità tutt’al più degenera in una pura ottimizzazione del già presente, di ciò che è falsamente a portata di mano. Senza un qualche orizzonte capace di offrire un senso, non e possibile agire. Felicità, libertà, sapienza, amore verso il prossimo, amicizia, umanità o solidarietà, come afferma lo scrittore Camus, costituiscono un orizzonte di senso, offrono una cornice di significati alla vita, un orientamento all’agire. Segnano il sentiero della speranza attiva. Senza tale orizzonte di senso non potremmo comprendere ciò noi stessi e la vita. Tutti gli atti e i comportamenti guidati dalla paura, dall’angoscia, non mettono in campo e corrispondono ad azioni, metodi e prassi capaci di apre un futuro umano. Ora la speranza non può essere un rinunciare, un eludere, un dire «no» alla vita, ma è la vita stessa piena di contraddizioni, prassi di cura e liberazione umana, solidarietà. Vivere significa potersi curare, comprendere ciò che accade nel mondo, perseguire il benessere e sperare. Al cospetto dell’incremento sempre crescente di problemi da risolvere e di crisi da gestire. La vita viene assorbita dal senso di catastrofe e si atrofizza. La vita personale si trasforma in sopravvivere. Eppure solo la speranza può farci recuperare quel vivere che è qualcosa in più del sopravvivere, la speranza apre l’orizzonte della sensatezza che nuovamente anima e mette le ali alla vita. Essa ci dona futuro.

Ricordiamo come l’angoscia può trasformare 1’intera società in una prigione e, che da essa provengono solo segnali di avvertimento e di pericolo. Di contro, la speranza erige, crea segni che marcano una direzione, che indicano un tracciato. Solo nella speranza noi siamo in cammino mentre l’angoscia va di pari passo con la sensazione di essere preso, imprigionato, rinchiuso. Nell’angoscia il mondo ci appare come una prigione. Tutte le porte che conducono fuori, all’ aperto, sono chiuse. Essa preclude, ostruisce il futuro poiché rende inaccessibile il possibile, il nuovo.

di Giuseppe Errico – Psicologo

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