Più della metà (56,1%), tra medici e dirigenti sanitari, è insoddisfatta delle condizioni del proprio lavoro e 1 su 4 (26,1%),anche della qualità della propria vita di relazione o familiare incidere sulla vita lavorativa e familiare sono anche i tagli alla spesa sanitaria inseriti nella razionalizzazione dei costi del Servizio sanitario nazionale che dal 2010 ad oggi, hanno condotto a uno spopolamento drammatico delle corsie, in particolare nelle regioni come la Campania per anni in piano di rientro ma con riverberi importanti anche sulle regioni del Nord
Negli ultimi 13 anni Sono 4.800 i medici ospedalieri in meno,9milagli infermieri pensionati o dimessisi o anche periti per il Covid ma non rimpiazzati. Per non parlare degli 8milamedici di medicina generale, dei 30.492 posti letto eliminati, dei 111 ospedali chiusie dei 113 pronto soccorso eliminati per consunzione e mancanza di personale.
A fornire i dati è Pierino di Silverio, medico del Monaldi, segretario nazionale dell’Anaao, principale sindacato di categoria della dirigenza medica intervenuto a Padova a MegaSalute, kermesse sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale promosso dal “Motore Sanità”. Fari puntati sul nuovo contratto della dirigenza medica collettivo nazionale e sul ridisegno del governo della salute nelle regioni che possa segnare una svolta dalla riforma del 1992 e del 1999, tenendo conto dell’innovazione, della Sanità digitale, tecnologica e declinata al femminile.
Secondo Di Silveriobisogna cambiare alla radice il modello organizzativo, facendolo crescere, investendo risorse ma soprattutto restituendo centralità ai bisogni del paziente coltivando i giovani talenti e facendoli crescerenelle corsie delle regioni dove hanno studiato e si sono formati anche se con lunghe parentesi all’estero.
LA CRISI DEGLI OSPEDALI
Dito puntato anche sulla crisi degli ospedali e dei pronto soccorso che riguarda il Cardarelli di Napoli come il Gemelli di Roma e tutti i principali ospedali della penisola: “Se da una parte l’ospedale non ha più una caratterizzazione chiara del suo ruolo di centro di cura per acuti – gli accessi sono tutti in pronto soccorso e il 60 per cento sono ripetuti o secondi accessi – dall’altra parte oggi l’utenza in 30 anni è diventata prevalentemente composta da pazienti cronici. E poi c’è il professionista medico marginalizzato nelle decisioni organizzative e ingabbiato contrattualmente, professionalmente, economicamente, anche in termini di possibilità di carriera. Abbiamo un contratto che non qualifica professionalmente, non qualifica socialmente, non gratifica per i livelli di impegni profusi. Un modello che non regge più e che occorre riformare in maniera profonda. Ma è l’intero impianto organizzativo del Servizio sanitario nazionale a restare insoddisfacente anche se fosse rifinanziato al 10 per cento del Pil.
L’APPELLO
L’appello del medico napoletano è a garantire “una flessibilità contrattuale e professionale e una idea chiara del percorso che il paziente deve seguire dal domicilio al territorio, all’ospedale e al suo rientro a casa. E ci vuole una definizione organica chiara così come una definizione delle risorse con cui attuare questi nuovi sistemi. Più che assenza di risorse è l’assenza di volontà di puntare sulla salute il nodo da sciogliere, come una priorità del Paese se è vero che le percentuali di investimenti rispetto al Pil sono vari punti dietro le altre nazioni europee. Non è più tempo di proteste sotto traccia ma di azioni eclatanti per smuovere le acque. Non deve cambiare solo il modello di lavoro del medico di medicina generale, ma anche il rapporto di lavoro con chi ci offre lavoro. Il medico deve curare non timbrare il cartellino e la sua azione professionale deve tornare centrale”.
Insomma una strada tracciata per rendere più attraente la professione medica per garantire anche nel prossimo futuro salute ai cittadini.
LE OPINIONI
“Difficilmente il progetto per realizzare con i fondi Ue le Case e Ospedali di Comunità se anche realizzato riuscirà a far diminuire i flussi al pronto soccorso – ha aggiunto Enrico Rossi ex presidente della Regione Toscana e componente dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità, per il semplice fatto che non esiste altro posto dove si possa avere una diagnosi avanzata e sicura come in quel reparto ospedaliero. Per cui bisogna investire sui pronto soccorso, dare posti di attesa confortevoli e anche chiedere all’utenza la pazienza dovuta per un servizio eccellente. Quanto all’affollamento forse qualche posto letto in più in prima linea come nei reparti specialistici e un miglior collegamento potrebbe servire a risolvere qualcosa. I territorio va certamente potenziato ma allo stato attuale è un’illusione pensare che da solo possa dare risposte che oggettivamente con le tecnologie disponibili solo l’ospedale può garantire a livelli di qualità”. “I principi di universalità, uguaglianza ed equità del servizio sanitario nazionale sono stati traditi e le conseguenze sono importanti – ha aggiunto Silvia Mengozzi, presidente del Consiglio nazionale Anaao. e si traducono in lunghissimi tempi di attesa, aumento della spesa privata, diseguaglianze nell’accesso alle cure, inaccessibilità alle innovazioni, mobilità sanitaria, rinuncia alle cure e riduzione dell’aspettativa di vita. C’è bisogno di cambiare rotta, ma bisogna ribaltare i numeri, acuiti dalla pandemia agendo sulle leve strategiche per la sostenibilità del servizio sanitario nazionale in termini di innovazione tecnologica, intelligenza artificiale e big data, investimenti in digitalizzazione, nuove tecnologie, ricerca, nuovi farmaci e personale
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