Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando nel 1953 i due scienziati James Watson e Francis Crick, grazie a studi e ricerche pubblicati su Nature, basati sui dati di diffrazione a raggi X ottenuti da Rosalind Franklin e Maurice Wilkins, ipotizzarono la struttura a doppia elica del Dna per poi ricevere il Nobel nel 1962. Una scoperta straordinaria che a distanza di poco più di 70 anni oggi, grazie all’intelligenza artificiale, può essere bissata sul fronte dell’editing genetico affidato all’Intelligenza artificiale che promette di sfociare nelle nuove frontiere della decifrazione degli errori epigenomici e della riprogrammazione del codice genetico affidandosi al microambiente in cui le cellule mutate si muovono e si replicano aprendo la strada a nuove vertiginose scoperte successive nel campo della genetica e della biologia. L’intelligenza artificiale entra dunque a pieno titolo tra gli strumenti chiave della genetica medica. Non sostituisce (per ora) il medico, ma potrà supportarlo nella diagnosi, nell’interpretazione dei dati genomici e nello sviluppo di nuove terapie ma anche nella definizione di nuove proteine e molecole personalizzate a scopo terapeutico. Di questo e di molto altro si è discusso nelle sessioni del Congresso nazionale della Società italiana di Genetica Umana (SIGU), conclusosi di recente a Rimini.
“Con più di 1.200 genetisti medici e biologi coinvolti – ha sottolineato Brunella Franco, presidente del Comitato Scientifico del Congresso SIGU, Ordinario di Genetica Medica, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università “Federico II”, Ricercatore dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina e Docente della Scuola Superiore Meridionale, Napoli – la SIGU conferma il proprio ruolo di riferimento nazionale e internazionale. Oltre alle sessioni scientifiche, il programma propone momenti culturali come lo spettacolo di Marco Paolini, I mitocondri e la polenta. Da mia nonna a Linn Margulis, che racconta la genetica attraverso il linguaggio del teatro. La genetica è sempre più centrale non solo nella ricerca e nella clinica, ma anche nella società. Siamo chiamati a guidare una rivoluzione terapeutica ed etica che cambierà il futuro della medicina”.
Tra gli ospiti internazionali dell’appuntamento, che ha visto la partecipazione di più di 1.200 genetisti, Benjamin Solomon, Direttore Clinico del National Human Genome Research Institute (Bethesda, USA), pioniere dell’uso dell’AI in genetica medica.
La tecnologia è già realtà nella diagnosi delle malattie genetiche rare: sono già disponibili sistemi di riconoscimento facciale che possono supportare pediatri e neonatologi e medici di medicina generale nel riconoscimento tempestivo di dismorfismi facciali e altri segni clinici, indirizzando tempestivamente le famiglie verso il genetista e avviando così percorsi diagnostici e terapeutici più rapidi ed efficaci. “La diagnosi precoce – ha affermato Francesca Clementina Radio, UOC Genetica Medica San Camillo Forlanini di Roma – è cruciale non solo per avviare trattamenti mirati, ma anche per migliorare qualità di vita e prognosi dei pazienti”.
Sul fronte della genetica forense. Il Prof. Manfred Kayser (Rotterdam) ha mostrato come oggi sia già possibile prevedere con buona approssimazione colore di occhi, capelli e pelle da una semplice traccia biologica, con tecniche che stanno rivoluzionando le indagini giudiziarie. “La fenotipizzazione forense del DNA (che predice aspetto, origine ancestrale ed età del sospettato) sta stravolgendo le sorti delle inchieste giudiziarie, perché consente di trovare autori di reati non sospettati, senza precedenti e non presenti nelle banche dati del DNA criminale, quindi non identificabili con la normale profilazione forense. Inoltre è finita l’epoca in cui i gemelli monozigoti avevano una sorta di ‘carta jolly’ per commettere crimini sapendo che non potevano essere identificati tramite la profilazione forense del DNA, poiché ora possono essere identificati con altri tipi di analisi del DNA, in particolare con il sequenziamento dell’intero genoma”.
Il presidente SIGU Paolo Gasparini, ordinario di Genetica Medica all’Università di Trieste, Direttore del Servizio di Genetica Medica e del Dipartimento per Diagnostica avanzata e sperimentazione clinica presso l’IRCCS Burlo Garofolo a Trieste, ha sottolineato l’eccellenza italiana nello sviluppo di terapie geniche e cellulari, spiegando che “la strategia del drug repurposing – o riposizionamento di farmaci – sta guadagnando terreno nel campo della ricerca biomedica. Si tratta di riutilizzare farmaci già approvati per altre indicazioni terapeutiche, studiandone l’efficacia contro patologie differenti, spesso rare e trascurate dall’industria farmaceutica. Questo approccio offre vantaggi decisivi: riduce tempi e costi di sviluppo, e sfrutta farmaci già noti per sicurezza e tollerabilità. Per le malattie rare, che colpiscono un numero limitato di pazienti e ricevono pochi investimenti, il drug repurposing rappresenta spesso l’unica via realistica verso nuove cure”.
Sono state intanto pubblicate le nuove raccomandazioni Sigu per l’esecuzione di test farmacogenetici germinali. La farmacogenetica è la disciplina che studia come il nostro DNA influenzi la risposta ai farmaci. Non tutti, infatti, reagiamo allo stesso modo a una terapia: l’efficacia e gli effetti collaterali possono variare a seconda delle caratteristiche genetiche di ciascuno, oltre che per fattori come età, sesso, peso o altre malattie presenti. Conoscere queste differenze permette di scegliere il farmaco giusto, al dosaggio corretto, riducendo i rischi e aumentando i benefici: è uno dei primi esempi di medicina personalizzata.
“I vantaggi non riguardano solo i pazienti – ha dichiarato Matteo Floris, Associato di Genetica Medica all’Università di Sassari, Co-coordinatore, insieme a Monica Rosa Miozzo, ordinario di Genetica Medica dell’Università degli Studi di Milano, del Gruppo SIGU dedicato proprio alla farmacogenetica – ma anche il sistema sanitario e la ricerca, perché consentono di ottimizzare risorse, evitare trattamenti inefficaci e selezionare farmaci più mirati. In Italia, però, l’applicazione clinica della farmacogenetica è ancora limitata e necessita di regole chiare. Per questo la Società Italiana di Genetica Umana ha elaborato raccomandazioni per standardizzare i test, la loro interpretazione e la refertazione, con l’obiettivo di portare queste innovazioni dentro al Servizio Sanitario Nazionale”.





