Lo smog che avvolge le città e le autostrade, per via del traffico, è una costante che accompagna la vita di milioni di italiani. Ma dietro questa realtà spesso sottovalutata, cui si aggiunge il fumo di sigaretta per i tabagisti, si cela una insidia silenziosa, che potrebbe avere ripercussioni sulla nostra salute. Secondo uno studio pubblicato su Parkinson’s Disease, le polveri sottili, in particolare il microparticolato PM10, potrebbero rappresentare un fattore che favorisce l’insorgenza del Parkinson, una delle malattie neurodegenerative invalidanti del nostro tempo.
La ricerca, coordinata dall’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli e realizzata in collaborazione con l’Università LUM di Casamassima (Bari), l’Università dell’Insubria di Varese, l’Università di Roma La Sapienza, e altre istituzioni come INAIL, CIRA, DEP Lazio e ASREM, si è concentrato su un campione di 25mila adulti residenti in Molise, partecipanti del progetto epidemiologico Moli-sani, monitorati da oltre vent’anni. Un patrimonio di dati che permette di tracciare un quadro dettagliato dell’ambiente e delle possibili correlazioni fisiopatologiche.
Analizzando le informazioni provenienti dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale (ARPA) i ricercatori hanno incrociato i livelli di inquinamento con le diagnosi di Parkinson, e sono arrivati a sospettare un legame: un incremento dei livelli di PM10 nell’aria si associa a un aumento del rischio di sviluppare questa malattia neurodegenerativa, indipendentemente da altri fattori di rischio come età, sesso, patologie preesistenti o condizioni lavorative.
Le particelle di PM10, inferiori a 10 millesimi di millimetro, sono così piccole da poter penetrare nelle vie respiratorie e venire assorbite dall’organismo. Sono le stesse polveri che spesso si vedono sollevate dal traffico, dalle industrie o dagli incendi, e che si depositano sui nostri balconi, sulle automobili, sui vestiti. La loro presenza nell’aria rappresenta un rischio per la salute, che si estende ben oltre le malattie respiratorie o cardiovascolari.
Lo studio suggerisce che queste microparticelle possano avere un ruolo diretto nello sviluppo del Parkinson, una malattia caratterizzata dalla perdita progressiva di cellule nervose produttrici di dopamina, responsabili dei disturbi motori e non solo. La scoperta apre nuove frontiere nella comprensione di come l’ambiente possa influenzare la nostra salute, e sottolinea l’urgenza di rivedere le politiche di tutela ambientale.
“Un incremento dei livelli di PM10 nell’aria – spiega il primo autore Alessandro Gialluisi, ricercatore Neuromed – si associa a un aumento del rischio di sviluppare il Parkinson. Un dettaglio interessante dello studio — prosegue Gialluisi — riguarda la lipoproteina(a), una molecola che ha un ruolo nel rischio cardiovascolare e che interagisce con l’alfa-sinucleina. Questa proteina è risultata, infatti, un possibile mediatore della relazione tra PM10 e rischio di Parkinson, spiegandone una piccola ma significativa parte. Naturalmente, saranno necessari ulteriori studi per chiarire a fondo il suo ruolo”
Il cammino è ancora lungo: sono necessari ulteriori studi per chiarire i meccanismi di interazione tra inquinamento e neurodegenerazione, e per individuare eventuali interventi terapeutici o preventivi. Tuttavia, questa osservazione ci invita a riappropriarci dell’ambiente come bene comune e come elemento fondamentale per la nostra salute: l’aria che respiriamo ha un peso sulla nostra vita, sulla nostra mente, sul nostro destino. Proteggere l’ambiente significa proteggere noi stessi e le generazioni future.
Per milioni di persone nel mondo, sappiamo bene, l’aria che respiriamo è un cocktail di particelle invisibili a occhio nudo. Secondo l’ultimo rapporto dell’American Lung Association, ad esempio, quasi 156 milioni di americani soggiornano in aree dove i livelli di polveri sospese e smog superano i limiti di sicurezza. Un aumento del 16% rispetto all’anno precedente, in termini di inquinamento atmosferico, una tendenza che si lega alla crisi climatica e alle recenti decisioni politiche che hanno indebolito le misure di protezione ambientale. Le particelle di diametro inferiore a 2,5 micrometri sono così piccole da passare attraverso gli alveoli polmonari e diffondersi nel sangue. L’esposizione prolungata a questi inquinanti è associata ad attacchi d’asma e affanno respiratorio, infarto e ictus dovuti all’infiammazione cronica dei vasi sanguigni, e si ipotizzano anche danni neurologici. Lo smog si forma per una combinazione tra emissioni industriali, inquinanti prodotti dal traffico urbano e dagli impianti di riscaldamento che impiegano combustibili fossili. Durante le ondate di calore, questo fenomeno si intensifica, peggiorando la qualità dell’aria. Anche gli incendi boschivi, sempre più frequenti con il riscaldamento globale, rilasciano quantità allarmanti di particolato. Per contrastare questa minaccia, servono politiche ambientali più rigide, una riduzione delle emissioni da combustibili fossili e un impegno globale verso un’aria più pulita.