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Tumori, arriva la classificazione molecolare


Gli oncologi: necessaria per curare meglio anche le metastasi.

Come classificare i tumori? Quali nomi attribuire a ciascuna di queste forme mutanti di cellule che nella loro tumultuosa crescita senza controllo danno luogo a malattie prima localizzate e poi sistemiche (metastasi) con cloni invasivi che invadono sangue e linfa e poi colonizzano altri organi in cui si impiantano e crescono? Sembra una questione solo formale e invece è sostanziale perché rimanda all’organizzazione non solo delle reti di cura ma anche della modalità con cui fare ricerca.
Un tempo prevaleva in questo campo prevaleva l’organo colpito (epatocarcinoma per indicate un cancro del fegato, tumore del polmone, della mammella, del colon retto e della prostata per indicare le lesioni più comuni e diffuse tanto da organizzare molti centri specialistici e hub territoriali con reparti dedicati all’organo appunto. Tutto questo aveva e in alcuni casi ancora una ragione che rimanda alla possibilità di erogare cure migliori e specializzare le strategie di approccio medico e chirurgico nelle cure. Le cose negli anni sono progressivamente cambiate. Prima si è passati ai tessuti, poi alle cellule e ora ci pensa a classificare le singole molecole target di un determinato tumore sequenziando il Dna che custodisce l’informazione di queste proteine chiave della crescita incontrollata di un determinato tumore. Insomma non più organi ma molecole: servono nuovi nomi per i tumori? La richiesta è degli oncologi che su Nature invocano questa rivoluzione.
Classificare i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari aiuterebbe infatti a identificare rapidamente le terapie più efficaci. “L’idea che il cancro sia una malattia molecolare è ormai condivisa da tutti”, dice all’ANSA Alberto Bardelli, direttore scientifico dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano e professore all’Università di Torino – gli oncogeni, ad esempio (quei geni che contengono l’informazione per proteine capaci d’indurre la trasformazione maligna di una cellula), sono la prima evidenza di caratteristiche che travalicano i convenzionali confini tra tumori. In futuro – aggiunge – ci sarà sempre più bisogno di un gruppo multidisciplinare di specialisti: nella stessa stanza, oltre ai medici, si dovranno sedere anche altri esperti, come quelli di Intelligenza Artificiale e biologi molecolari”. E’ la logica dei gruppi oncologici multidisciplinare, non a caso architrave della Rete oncologica campana ormai assurta a una delle reti modello in Italia e presa a prestito per i risultati conseguiti anche da altre regioni non solo del Sud.
“La necessità di cambiare la classificazione dei tumori – spiega Umberto Malapelle, anatomo patologo presso il dipartimento di sanità pubblica, università degli studi di Napoli Federico II – è una esigenza che si sente da alcuni anni ormai. La classificazione integrata morfo-molecolare rappresenta oggi una necessità non più un desiderio. Questo perché sia la definizione della diagnosi, che della prognosi, che della valutazione di risposta ad un trattamento si basano sia su criteri morfologici che su criteri molecolari, come la presenza di una specifica mutazione a carico del Dna. Possiamo utilizzare come esempio i tumori dell’endometrio, in cui la rilevazione della instabilità microsatellitare, non solo identifica una classe diagnostica con una specifica prognosi ma anche un marcatore predittivo positivo si risposta ad un trattamento immunoterapico”. L’ Anatomia patologica moderna vede racchiusa in sé questa unica possibilità, una diagnosi morfo-molecolare insomma par di capire.
Anche secondo i ricercatore dell’Ifom,“La strada indicata da Fabrice André e dai suoi colleghi è quella giusta, ma non ci siamo ancora: oggi la ricerca richiede un passo in più, uno sforzo collettivo. Inoltre sarà necessario formare una nuova classe di medici. È proprio con questo obiettivo che è nato il programma Physician Scientist, che vede convolto l’Ifom insieme alla Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, Università di Milano, Istituto Nazionale dei Tumori, Ospedale Niguarda e Istituto Europeo di Oncologia di Milano”. Un programma disegnato per offrire ai futuri medici la possibilità di una formazione più completa.
“Oggi più che mai siamo nell’era della medicina personalizzata e nella terapia target – conclude Massimo Zollo, professore ordinario di Genetica presso il dipartimento di Medicina molecolare e Biotecnologie mediche e PI Ceinge biotecnologie avanzate Franco Salvatore di Napoli – ed i farmaci di selezione devono essere mirati a singoli geni per essere efficaci. Non basta una visione di insieme e un’ analisi dell’epigenoma è troppo superficiale per combattere le evoluzioni clonali emergenti durante le azioni generalizzate da farmaci non specifici. Un esempio? I tumori del cervello nell’uomo”.
Esiste infatti una crescente disconnessione tra la classificazione dei tumori in base all’organo e gli sviluppi più recenti nell’oncologia di precisione, che utilizza invece le caratteristiche molecolari delle cellule tumorali e di quelle immunitarie per guidare le terapie. Per illustrare il problema, i ricercatori guidati da André evidenziano il caso del farmaco nivolumab, che prende di mira il recettore di una proteina che aiuta le cellule tumorali a sfuggire all’attacco del sistema immunitario. Il farmaco è più efficace quando le cellule producono una grande quantità di questa proteina, eppure milioni di persone che corrispondevano al profilo non hanno avuto accesso alla terapia per anni, perché gli studi clinici dovevano essere svolti per ogni tipologia convenzionale di tumore.
“Gli autori dell’articolo sono nel giusto, tuttavia dobbiamo sempre basarci su ciò che dice la ricerca: non possiamo vedere la malattia solo per organo ma, allo stesso tempo, ci sono delle eccezioni, in alcuni casi si tratta di una discriminante fondamentale”, dice ancora Alberto Bardelli. “Ad esempio, alcuni farmaci che funzionano per uno non funzionano per un altro, nonostante le caratteristiche molecolari simili. L’approccio molecolare ci può portare ad un’approvazione molto più rapida dei farmaci, ma senza nuovi medici sarà difficile”.

rare meglio anche le metastasi

Come classificare i tumori? Quali nomi attribuire a ciascuno di queste forme mutanti di cellule che nella loro tumultuosa crescita senza controllo danno luogo a malattie prima localizzate e poi sistemiche (metastasi) con cloni invasivi che invadono sangue e linfa e poi colonizzano altri organi in cui si impiantano e crescono? Sembra una questione solo formale e invece è sostanziale perché rimanda all’organizzazione non solo delle reti di cura ma anche della modalità con cui fare ricerca.
Un tempo prevaleva in questo campo prevaleva l’organo colpito (epatocarcinoma per indicate un cancro del fegato, tumore del polmone, della mammella, del colon retto e della prostata per indicare le lesioni più comuni e diffuse tanto da organizzare molti centri specialistici e hub territoriali con reparti dedicati all’organo appunto. Tutto questo aveva e in alcuni casi ancora una ragione che rimanda alla possibilità di erogare cure migliori e specializzare le strategie di approccio medico e chirurgico nelle cure. Le cose negli anni sono progressivamente cambiate. Prima si è passati ai tessuti, poi alle cellule e ora ci pensa a classificare le singole molecole target di un determinato tumore sequenziando il Dna che custodisce l’informazione di queste proteine chiave della crescita incontrollata di un determinato tumore. Insomma non più organi ma molecole: servono nuovi nomi per i tumori? La richiesta è degli oncologi che su Nature invocano questa rivoluzione.
Classificare i tumori sulla base delle loro caratteristiche molecolari aiuterebbe infatti a identificare rapidamente le terapie più efficaci. “L’idea che il cancro sia una malattia molecolare è ormai condivisa da tutti”, dice all’ANSA Alberto Bardelli, direttore scientifico dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano e professore all’Università di Torino – gli oncogeni, ad esempio (quei geni che contengono l’informazione per proteine capaci d’indurre la trasformazione maligna di una cellula), sono la prima evidenza di caratteristiche che travalicano i convenzionali confini tra tumori. In futuro – aggiunge – ci sarà sempre più bisogno di un gruppo multidisciplinare di specialisti: nella stessa stanza, oltre ai medici, si dovranno sedere anche altri esperti, come quelli di Intelligenza Artificiale e biologi molecolari”. E’ la logica dei gruppi oncologici multidisciplinare, non a caso architrave della Rete oncologica campana ormai assurta a una delle reti modello in Italia e presa a prestito per i risultati conseguiti anche da altre regioni non solo del Sud.
“La necessità di cambiare la classificazione dei tumori – spiega Umberto Malapelle, anatomo patologo presso il dipartimento di sanità pubblica, università degli studi di Napoli Federico II – è una esigenza che si sente da alcuni anni ormai. La classificazione integrata morfo-molecolare rappresenta oggi una necessità non più un desiderio. Questo perché sia la definizione della diagnosi, che della prognosi, che della valutazione di risposta ad un trattamento si basano sia su criteri morfologici che su criteri molecolari, come la presenza di una specifica mutazione a carico del Dna. Possiamo utilizzare come esempio i tumori dell’endometrio, in cui la rilevazione della instabilità microsatellitare, non solo identifica una classe diagnostica con una specifica prognosi ma anche un marcatore predittivo positivo si risposta ad un trattamento immunoterapico”. L’ Anatomia patologica moderna vede racchiusa in sé questa unica possibilità, una diagnosi morfo-molecolare insomma par di capire.
Anche secondo i ricercatore dell’Ifom,“La strada indicata da Fabrice André e dai suoi colleghi è quella giusta, ma non ci siamo ancora: oggi la ricerca richiede un passo in più, uno sforzo collettivo. Inoltre sarà necessario formare una nuova classe di medici. È proprio con questo obiettivo che è nato il programma Physician Scientist, che vede convolto l’Ifom insieme alla Fondazione Airc per la Ricerca sul Cancro, Università di Milano, Istituto Nazionale dei Tumori, Ospedale Niguarda e Istituto Europeo di Oncologia di Milano”. Un programma disegnato per offrire ai futuri medici la possibilità di una formazione più completa.
“Oggi più che mai siamo nell’era della medicina personalizzata e nella terapia target – conclude Massimo Zollo, professore ordinario di Genetica presso il dipartimento di Medicina molecolare e Biotecnologie mediche e PI Ceinge biotecnologie avanzate Franco Salvatore di Napoli – ed i farmaci di selezione devono essere mirati a singoli geni per essere efficaci. Non basta una visione di insieme e un’ analisi dell’epigenoma è troppo superficiale per combattere le evoluzioni clonali emergenti durante le azioni generalizzate da farmaci non specifici. Un esempio? I tumori del cervello nell’uomo”.
Esiste infatti una crescente disconnessione tra la classificazione dei tumori in base all’organo e gli sviluppi più recenti nell’oncologia di precisione, che utilizza invece le caratteristiche molecolari delle cellule tumorali e di quelle immunitarie per guidare le terapie. Per illustrare il problema, i ricercatori guidati da André evidenziano il caso del farmaco nivolumab, che prende di mira il recettore di una proteina che aiuta le cellule tumorali a sfuggire all’attacco del sistema immunitario. Il farmaco è più efficace quando le cellule producono una grande quantità di questa proteina, eppure milioni di persone che corrispondevano al profilo non hanno avuto accesso alla terapia per anni, perché gli studi clinici dovevano essere svolti per ogni tipologia convenzionale di tumore.
“Gli autori dell’articolo sono nel giusto, tuttavia dobbiamo sempre basarci su ciò che dice la ricerca: non possiamo vedere la malattia solo per organo ma, allo stesso tempo, ci sono delle eccezioni, in alcuni casi si tratta di una discriminante fondamentale”, dice ancora Alberto Bardelli. “Ad esempio, alcuni farmaci che funzionano per uno non funzionano per un altro, nonostante le caratteristiche molecolari simili. L’approccio molecolare ci può portare ad un’approvazione molto più rapida dei farmaci, ma senza nuovi medici sarà difficile”.

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