Territorio, perizie e carceri sono i tre temi fondamentali che uniscono quello principale della psichiatrica in carcere. Potenziare il territorio è una delle mission per garantire al soggetto autore di reato con malattia mentale il percorso di cura e di assistenza più adeguato. Proprio in questo contesto si inserisce il progetto pilota veneto del CePAC che ora diventa un modello per le altre Regioni, proponendosi come ponte tra le diverse realtà sanitarie e giudiziarie che facilita la comunicazione e la cooperazione tra i vari attori coinvolti
Ne ha parlato Felice Alfonso Nava, Direttore UOC Dipendenze Verona dell’Azienda ULSS 9 Scaligera, che ha partecipato al convegno psichiatria e Giustizia al servizio della società” organizzato da Motore Sanità in collaborazione con il Centro per la Profilazione ed Analisi Criminologica (CePAC).
Secondo il professore Nava per intervenire occorre agire su un triplice binario: da una parte gestendo le liste d’attesa in maniera appropriata e rapida, cercando di migliorare l’appropriatezza dei percorsi e soprattutto di migliorare anche, attraverso protocolli e intese, la collaborazione fra l’amministrazione della giustizia e la sanità. Il secondo elemento su cui lavorare, per quanto riguarda le Rems, è quello di arrivare a un’offerta, in termini di numero di posti, adeguata e omogenea su tutto il territorio nazionale. Il terzo punto riguarda le persone con una patologia psichiatrica e/o dipendenza (la cosiddetta “doppia diagnosi”), che sono all’interno del carcere. Queste devono avere a disposizione dei luoghi di cura esterna, delle comunità terapeutiche che possano accoglierle anche in misura alternativa di tipo detentivo. E tutto questo ovviamente converge su quello che si sta creando in Veneto con l’esperienza del CePac, un progetto pilota sperimentale che diventa un modello a livello nazionale”. Lo abbiamo ascoltato ai microfoni di Mondosanità.
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