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Cresce il Fondo sanitario italiano, ma resta il più basso nell’Ocse

Dall’Osservatorio di Motore Sanità le proposte per sostenere il Servizio Sanitario Nazionale

Il Fondo sanitario nazionale nel 2024 salirà a quota 134,1 mld segnando una crescita di 10 miliardi di euro in 10 anni, ciò anche grazie agli incrementi programmati per l’emergenza Covid, ma il finanziamento resta il più basso tra i paesi Ocse i cui dati ci dicono anche che il 25 per cento della spesa complessiva (circa 180 miliardi), per circa 40 miliardi, scorre fuori dall’alveo della Sanità pubblica ed è comprata dai cittadini nel privato per evitare lungaggini e liste di attesa e ottenere cure migliori in tempi brevi.

Il fondo sanitario italiano cresce, dunque, ma un cittadino su quattro non ha accesso alle cure pubbliche e, se può, mette mano al portafoglio o si protegge stipulando una polizza assicurativa, ovvero ricorrendo ad altre forme di intermediazione. Uno scenario che configura un Governo della Salute che in Italia si allontana sempre più dal recinto della Sanità pubblica, abbracciando nei fatti e nei numeri un sistema misto.

È quanto emerge dal confronto a più voci promosso da Motore Sanità tra clinici, politici, amministratori di Sanità pubblica, dirigenti sindacali, docenti e studiosi di politica ed economia sanitaria provenienti da tutte le regioni. Che fare dunque?  “Le leggi e le riforme vanno fatte, ma vanno discusse con chi le deve attuare mentre oggi medici e operatori sanitari le subiscono – ha sottolineato Pierino di Silverio, dirigente medico del Monaldi di Napoli e segretario nazionale dell’Anaao Assomed –; in Germania i medici sono scesi in piazza, così in Francia, Spagna, Inghilterra e questo evidentemente prescinde da quanto è investito. È il modello di sanità che non regge più, ancorato a quando i pazienti erano giovani e acuti da curare in ospedale mentre oggi sono soprattutto cronici”. Ed è stata la senatrice Elena Murelli a chiedersi come sono stati spesi i soldi e con quali esiti e quali bisogni.


Non mancano le proposte da cui partire per una riforma: smettere di pensare alla sanità solo come costo ma guardarla come investimento anche per il Pil del paese, basta pensare alla Silver economy), facendo rientrare nel Ssn pubblico almeno una parte dell’out of pocket intermediato. Pensare poi anche ai costi indiretti che gravano sullo Stato e sul sistema produttivo (pensioni, invalidità, astensione dal lavoro, care giver, ecc.). Guardare senza pregiudizi alla possibilità di una tassa di scopo come il fondo per la non autosufficienza così finanziato in Germania. E poi investire su recupero dell’evasione fiscale per drenare risorse da destinare alla Salute. E infine: pensare a una spending review non imperniata sui tagli dei piani di rientro, ma che incida sugli enti inutili (senza toccare welfare, stipendi pubblici e pensioni), per poi attuare una riforma dell’assetto generale del sistema di erogazione dei servizi orientata soprattutto sulla presa in carico, da applicare a cronici e fragili e per accompagnare la spesa appropriata e sostenibile.  “Più che ragionare in termini di percentuale di spesa rispetto al Pil che fornisce un valore fuorviante – ha spiegato Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità – per la sostenibilità del sistema sanitario pubblico dovremmo occuparci di riportare una fetta di quei 40 miliardi pagati dai cittadini di tasca propria nel solco della spesa sanitaria pubblica”.

Obiettivo del webinar stabilire quanto spendiamo realmente per la sanità in Italia, definire quali risorse le Regioni spendono, per quali bisogni, come e con quali esiti. Un impianto, quello del servizio sanitario pubblico, da riformare e modernizzare partendo dai dati che però, per fornire un quadro chiaro della situazione, devono essere – come ha chiarito Vittorio Mapelli, già professione all’Università di Milano – accurati, aggiornati, interpretabili, obiettivi e imparziali e pertinenti alla situazione che si sta cercando di comprendere oltre che validati e omogenei. Tutti sono d’accordo nel sostenere che la sanità italiana sia sottofinanziata – ha aggiunto Zanon “ma l’elemento centrale nel raffronto tra le regioni come anche tra i paesi europei, è la spesa pro capite che l’Ocse riferisce a quella che i cittadini fruiscono come servizio pubblico e quella che comprano nel privato, intermediata o meno, che percentualmente risulta la più alta d’Europa”.

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