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Ipoparatiroidismo, una patologia cronica di difficile diagnosi e gestione, 800 i pazienti piemontesi, circa la metà in attesa di nuove terapie

Una malattia che colpisce circa 10.000/15.000 persone in Italia, con prevalenza tra 6,4-37 casi ogni 100.000 abitanti e incidenza tra 0,8-2,3 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno e generalmente pazienti giovani (30/40 anni) in piena età lavorativa. In Piemonte sono circa 800 i pazienti presi in carico presso i centri di riferimento distribuiti sul territorio, di questi il 40%-50% avrebbe bisogno di una terapia innovativa

Torino, 9 giugno 2025 – L’ipoparatiroidismo è una patologia rara in cui le ghiandole paratiroidi non producono quantità sufficienti di ormone paratiroideo (PTH) comportando squilibri nel metabolismo di calcio e fosforo, con l’insorgenza di disturbi collegati di diversa entità/gravità che possono essere non sempre facilmente identificabili. Nonostante la ricerca stia producendo interessanti avanzamenti terapeutici che potrebbero garantire ai pazienti una qualità di vita nettamente migliore,restano problematiche relative ad una diagnosi tardiva, al poco coordinamento tra le varie specialità cliniche, alla difficile gestione della malattia tra presa in carico e follow-up. Di questi aspetti si è parlato al Convegno “Innovazione organizzativa nei percorsi di diagnosi, cura, follow-up. Focus on Ipoparatiroidismo: REGIONE PIEMONTE”, organizzato da Motore Sanità e realizzato grazie al contributo non condizionato di Ascendis Pharma.

I sintomi comuni vanno dal formicolio alle mani o alla bocca, ai crampi muscolari e nei casi più gravi fino alla tetania. Nei casi più severi si possono verificare diverse malattie d’organo, anomalie scheletriche, calcificazione dei gangli della base, vitiligine, manifestazioni renali. Le complicanze più comuni dell’ipoparatiroidismo cronico sono cataratta (17%), infezioni (11%), nefrocalcinosi, nefrolitiasi (15%), insufficienza renale (12%), convulsioni (11%), depressione (9%), malattia cardiaca ischemica (7%), aritmie (7%). In Italia è stato calcolato che ogni anno si verificano oltre 3.000 ricoveri ospedalieri per complicanze acute correlate all’ipoparatoroidismo con una durata media di ricovero di circa 7 giorni. 

“L’ipoparatiroidismo (ipoPTH) è una malattia endocrina rara caratterizzata da un deficit totale o parziale di secrezione di paratormone (PTH) da parte delle ghiandole paratiroidi, che porta a bassi livelli di calcio nel sangue (ipocalcemia) e alti livelli di fosfato (iperfosfatemia). In Italia, si stima che l’ipoparatiroidismo colpisca circa 10.000-15.000 persone, con una prevalenza che varia tra 6,4 e 37 casi ogni 100.000 persone e un’incidenza compresa tra 0,8 e 2,3 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno. In Piemonte sono circa 800 i pazienti presi in carico dai centri di riferimento distribuiti sul territorio. La causa più comune di ipoparatiroidismo è post-chirurgica, seguita da forme e autoimmuni con una prevalenza minore” ha spiegato Gianluca Aimaretti, Presidente SIE e Direttore SCDU Endocrinologia presso l’AOU Maggiore della Carità Novara. “E’ maggiormente prevalente nel sesso femminile e in pazienti giovani (30-40 anni), in piena età lavorativa. L’ipoparatiroidismo si manifesta clinicamente a causa dell’ipocalcemia con sintomi quali: formicolii, contrazioni muscolari, rigidità, crampi, spasmi, affaticamento, debolezza, disturbi del ritmo cardiaco. La diagnosi si basa sulla valutazione dei sintomi e sull’esecuzione di esami ematochimici specifici. L’obiettivo del trattamento è mantenere i livelli di calcio sierico nel range di normalità, evitando l’ipercalciuria per prevenire complicanze renali”.

“La terapia convenzionale – prosegue lo specialista – che include Calcio e Vitamina D, nonostante allevi i sintomi, non sostituisce il PTH carente e può portare a complicanze a lungo termine, tra cui problemi renali, calcificazioni extrascheletriche: a livello dei tessuti molli, vasi sanguigni e cervello e aumento della densità minerale ossea (BMD): l’osso diventa più denso ma meno resistente, aumentando il rischio di fratture atipiche”. “La ricerca farmacologica – ha proseguito Aimaretti – ha portato allo sviluppo di terapie sostitutive del PTH, che mirano a replicare le funzioni fisiologiche dell’ormone mancante. In conclusione, l’iperPTH, sebbene raro, rappresenta una sfida clinica significativa a causa della sua gestione complessa e delle complicanze a lungo termine della terapia convenzionale. L’avvento di terapie sostitutive del PTH apre nuove prospettive per migliorare la qualità di vita e ridurre il carico della malattia per i pazienti affetti”.

“La condizione clinica di ipoparatiroidismo, caratterizzata da ipocalcemia cronica, sebbene sia una malattia epidemiologicamente rara, provoca svariati sintomi, neurologici, renali, ossei, gastroenterici, cardiaci, muscolari, oculari, metabolici, in grado di compromettere in maniera significativa la qualità di vita globale del paziente. Lo scadimento della qualità di vita e le numerose morbilità associate alla malattia sono responsabili di un significativo numero di richieste di prestazioni sanitarie da parte di questi pazienti, con conseguente dispendio di risorse di personale ed economiche – ha spiegato Emanuela Arvat, professoressa Dipartimento Scienze Mediche Università degli Studi di Torino -. Il trattamento convenzionale non prevede la sostituzione dell’ormone carente (paratormone, PTH) ma si basa sulla supplementazione per os con calcio e vitamina D attiva. Tuttavia, una percentuale non trascurabile di pazienti non raggiunge un controllo biochimico adeguato dimostrando la persistenza dei sintomi, delle complicanze cliniche e di una ridotta qualità della vita”.

Negli ultimi anni, il trattamento dell’ipoparatiroidismo sta evolvendo verso terapie innovative. “Sono state proposte terapie sostitutive con PTH o con farmaci che ne simulano l’azione – ha proseguito Arvat -. Recenti progressi nella comprensione della fisiopatologia di questa patologia hanno aperto la strada a nuovi approcci terapeutici, come forme di PTH a lunga durata d’azione, analoghi del recettore del PTH e, più recentemente, agenti calciolitici. Questi nuovi approcci terapeutici, in parte ancora oggetto di studi clinici, hanno dimostrato risultati promettenti. Il loro utilizzo futuro nella pratica clinica dipenderà dai risultati di efficacia clinica, di tollerabilità, di impatto sulla salute globale a lungo termine e di miglioramento della qualità di vita dei pazienti. D’altra parte, una attenta valutazione farmaco-economica di costo-beneficio, parametro in futuro sempre più rilevante nella valutazione della sostenibilità delle nuove terapie mediche, avrà un grande peso sulla fruibilità di queste terapie nei pazienti affetti da ipoparatiroidismo cronico”.

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