Rallentare, o addirittura fermare la progressione dell’Alzheimer: è questa la prospettiva che si intravede alla luce della scoperta di un meccanismo molecolare chiave che vede protagoniste le cellule che nel cervello svolgono il compito dei guardiani, la cosiddetta microglia. Ricercatori guidati dal Graduate Center della City University di New York hanno svelato un comportamento insospettabile di queste sentinelle del sistema nervoso centrale, cellule preziose, che difendono a spada tratta la materia grigia da eventuali aggressioni, ma che in caso di stress possono incattivirsi, liberando metaboliti che innescano la neurodegenerazione, come in una sorta di “fuoco amico”.
Nello studio pubblicato sulla rivista Neuron, di Elsevier, il team ha descritto l’esito dei primi test su modelli animali: i risultati mostrano che bloccare il meccanismo di risposta allo stress o impedire la produzione delle sostanze tossiche da parte della microglia porta a un miglioramento dei sintomi. Questa osservazione si ritiene possa rivelarsi di fondamentale importanza, poiché offre una inedita chiave di lettura dell’Alzheimer, una malattia che colpisce oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo e per la quale, attualmente, non esistono cure risolutive.
La microglia, le cellule immunitarie residenti nel cervello e nel midollo spinale, hanno da sempre mostrato di svolgere un ruolo cruciale in quanto sorvegliano l’integrità del sistema nervoso centrale, pronte a rispondere a lesioni o patologie. Tuttavia, la ricerca ha verificato che, in condizioni di stress, la microglia può attivarsi fuori da ogni regola. Questo meccanismo, con successivo rilascio di molecole proinfiammatorie o tossiche, è quello che gli scienziati hanno iniziato a esplorare più a fondo. La scoperta che le cellule della microglia possono diventare iperattive e generare infiammazione cronica nel cervello è datata. Gli scienziati sono a conoscenza di questo fenomeno già da trent’anni a questa parte. Tuttavia, le acquisizioni in questo sono è in continua evoluzione e nuovi studi continuano ad approfondire i meccanismi fisiopatologici delle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
L’ambiguità di comportamento della microglia suggerisce che il trattamento dell’Alzheimer, oltre che sui depositi di proteine insolubili, come le placche di beta-amiloide, potrebbe rivolgersi alla modulazione della risposta immunitaria del cervello. Si ritiene che le placche di beta-amiloide interferiscano con la comunicazione tra le cellule nervose, contribuendo al declino cognitivo e alla neurodegenerazione osservati nei pazienti con demenza, ma si punta a preservare la riserva cognitiva dei pazienti anche con altre strategie. La strada per validare questi risultati è ancora lunga, data la complessità della malattia. La ricerca coinvolge scienziati, medici e famiglie, uniti nella speranza di scoprire nuove soluzioni per un problema sempre più pressante.
“I risultati che abbiamo visto fin qui rivelano un legame cruciale tra stress cellulare e lipidi tossici rilasciati dalla microglia, nei modelli della malattia di Alzheimer”, ha dichiarato Anna Flury, prima firmataria dello studio insieme a Leen Aljayousi. “Attraverso questo meccanismo – ha precisato – si potrebbe aprire una nuova strada nella terapia”. Comunque vada, la ricerca segna un passo avanti nella comprensione dei meccanismi che possono portare all’Alzheimer e conferma il ruolo della microglia come custode del cervello. “Eventuali trattamenti che riuscissero a impedire una risposta infiammatoria – aggiunge da parte sua Leen Aljayousi – potrebbero rallentare in maniera significativa, o persino fermare, la progressione verso la demenza”.
Nel frattempo, dopo Stati Uniti, Regno Unito e Giappone, è stato approvato anche dall’Unione Europea, a seguito di una procedura di riesame, un anticorpo monoclonale anti-Alzheimer da somministrare per rallentare la progressione della malattia nelle fasi precoci: alla valutazione positiva dell’Ema, l’Agenzia Europea per i Medicinali, dovrebbe ora seguire a breve il pronunciamento definitivo da parte della Commissione europea, e per l’Italia sentiremo anche le valutazioni dell’Agenzia Italiana del Farmaco.