Rocco Barazzoni, Presidente della Società Italiana Obesità – SIO, Professore Associato di Medicina Interna all’Università di Trieste, ha preso parte alla conferenza stampa di presentazione della campagna intitolata “Perdere peso non dipende solo da te. Il tuo corpo può fare resistenza” promossa da Lilly con il patrocinio dell’associazione Amici Obesi (foto sotto). In questa pagina l’illustre clinico affronta l’argomento in chiave divulgativa.
I dati emersi da un recente sondaggio Ipsos tra i cittadini e le Istituzioni sulla percezione e la conoscenza dell’obesità rivelano un riconoscimento diffuso da parte dell’opinione pubblica della complessità e delle molteplici cause che sottendono all’aumento del peso: oggi l’obesità è sempre più riconosciuta come patologia. Perché l’obesità deve essere considerata una malattia vera e propria? Quali sono i parametri che definiscono il paziente obeso?
L’obesità è legata ad una modificazione patologica dei meccanismi che nel nostro organismo regolano la fame e la sazietà e quindi regolano il peso corporeo. Questo tipo di alterazioni è indipendente dal controllo e dalla volontà della persona. Si tratta di meccanismi neurologici in gran parte localizzati nel cervello, ma che rispondono anche a segnali che arrivano dal tessuto adiposo e dall’intestino. Questi meccanismi complessi sono in grado di mantenere in condizioni fisiologiche il peso corporeo entro limiti che possiamo definire ‘normali’ o sani. È dimostrato che le persone affette da obesità presentano alterazioni di tali processi biologici che portano ad un rischio maggiore di aumentare la propria massa grassa. A questi meccanismi si associano anche fattori genetici, endocrini, ambientali, dal momento che viviamo in un contesto che favorisce la sedentarietà e l’assunzione di cibi ipercalorici. L’insieme di questi fattori definisce l’obesità come malattia.
Al di là del concetto di obesità come malattia, da tempo la comunità medica è anche consapevole che il solo peso corporeo non è sufficiente a definire lo stato di salute dell’individuo. Alla valutazione del peso si deve almeno aggiungere la valutazione della distribuzione del grasso in eccesso, e sappiamo che il grasso addominale è quello più pericoloso per lo sviluppo di complicanze molto gravi come le malattie cardiovascolari, metaboliche, endocrine e molte altre che peggiorano lo stato di salute.
La Lancet Commission e, qualche mese prima, la stessa Società Europea dell’Obesità, hanno enfatizzato questo messaggio con dichiarazioni simili, stabilendo che il peso di per sé è importante ma non sufficiente a stabilire il rischio clinico generale. L’Indice di Massa Corporea (BMI) è il parametro più utilizzato per la valutazione generale del sovrappeso e dell’obesità, che dovrebbe restare al di sotto di 30 kg/m2 per stabilire la soglia oltre la quale si parla di obesità, mentre tra 25 e 30 si parla di sovrappeso. Al BMI dovremmo però almeno aggiungere il parametro che indica quanto grasso viscerale è localizzato nell’addome, con la misura del ‘giro vita’. Una circonferenza dell’addome elevata associata a BMI anche inferiori a 30 deve adesso essere considerata sufficiente per fare diagnosi di obesità. Stiamo dunque introducendo un approccio diagnostico più accurato, con la distribuzione del grasso che assume sempre più importanza.
L’OMS ha coniato il termine di “Globesità” a sottolineare l’emergenza globale di questo fenomeno in continua e allarmante crescita. Qual è la prevalenza dell’obesità nel mondo, in Europa e Italia? Alcuni dati nazionali evidenziano percentuali di prevalenza più alte rispetto a genere e nelle regioni italiane del Meridione; questo trend è ancora confermato?
I numeri dell’obesità stanno esplodendo, è un dato di fatto certo ed evidente, a livello mondiale. In alcuni Paesi occidentali è stato raggiunto forse il picco di aumento di velocità progressiva e ci si avvicina ad una sorta di assestamento, ma in altre parti del mondo si assiste ad una vera esplosione del fenomeno obesità. Circa il 10% della popolazione mondiale, quasi un miliardo di persone, è affetto da obesità; in Italia siamo più o meno in linea con queste percentuali, con una stima di circa 6 milioni di persone affette. Il sovrappeso colpisce inoltre più di un terzo della popolazione adulta in Italia. Se si considera quindi la popolazione adulta, sommando sovrappeso e obesità, il 50 per cento ha problemi di peso in eccesso. Con le nuove definizioni, molte delle persone sovrappeso che presentano eccessivo grasso viscerale potrebbero essere diagnosticate come affette da obesità.
Esiste un trend per una maggiore prevalenza nelle regioni italiane meridionali, che nella “carta epidemiologica” sono caratterizzate da un colore più scuro. Gli ultimi dati suggeriscono un lieve rallentamento di questo trend in alcune regioni del Sud, sebbene le prevalenze restino ancora globalmente più alte rispetto al Nord e al Centro. Riguardo al genere, vi è una prevalenza maggiore nel sesso maschile. Alcune complicanze dell’obesità hanno insorgenza diversa, ad esempio per una protezione da malattie cardiovascolari nelle donne prima della menopausa. D’altra parte, l’obesità aumenta il rischio di queste malattie in entrambi i sessi. È molto importante ricordare che l’obesità è un fattore di rischio per diabete, infarto, ictus e anche per tantissime altre malattie come tumori, insufficienza renale, alterazioni del fegato, problemi osteoarticolari e disabilità, con perdita di autonomia, limitazioni funzionali e, globalmente, una minore qualità della vita. Considerando tutte le patologie correlate all’obesità, questa malattia diventa la sfida sanitaria e sociale più importante, rispetto ai costi sanitari e sociali, diretti e indiretti.
L’obesità è considerata una patologia multifattoriale. Qual è in sintesi la sua eziologia, quali fattori e processi biologici scatenano l’aumento del peso? Cosa è cambiato negli ultimi vent’anni rispetto all’attenzione, all’approccio e alla gestione di questa patologia da parte dei clinici e della ricerca?
Aver assistito alla diffusione epidemica di questa patologia negli ultimi settant’anni non è casuale: è evidente che esistono fattori scatenanti, con una sempre maggiore disponibilità di cibo ipercalorico e uno stile di vita sempre più sedentario. D’altra parte, pur essendo tutti esposti a questi fattori ambientali “obesogeni”, non tutti gli individui sviluppano obesità. Questa è una evidenza cruciale, perché dimostra che esiste una predisposizione, un rischio individuale a vari livelli di ammalarsi. E qui entrano in gioco i meccanismi neurologici ed endocrini che regolano l’appetito, la fame e la sazietà che negli individui predisposti a sviluppare obesità sono profondamente alterati. Un esempio può aiutare a chiarire questo importante concetto. Tutti noi mangiamo per evitare la malnutrizione e per fornire energia al nostro corpo. Ma mangiamo anche per gratificarci e avere sensazioni piacevoli, e questo non va colpevolizzato. Tuttavia, sappiamo da studi scientifici che persone con obesità possono avere un livello di gratificazione inferiore rispetto a persone che non sviluppano obesità, che può portare quindi alla necessità di assumere più cibo. Queste alterazioni sono state dimostrate anche dopo una perdita di peso, ottenuta spesso faticosamente con modificazioni dello stile di vita. Il nostro organismo tende però purtroppo a sviluppare meccanismi che favoriscono il ritorno al peso iniziale, ad esempio riducendo la sazietà e limitando il dispendio energetico. Erano meccanismi utili quando i nostri antenati affrontavano fame e carestie, ma che possono favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità nelle condizioni ambientali in cui viviamo.
Per quanto riguarda l’approccio clinico all’obesità, nonostante gli sforzi di chi si occupa di questa malattia, fino a pochissimo tempo fa ci siamo basati sull’approccio comportamentale, con opzioni farmacologiche piuttosto limitate e relativamente poco efficaci. Solo la chirurgia poteva fornire risultati più efficaci e duraturi, inevitabilmente però per un numero di pazienti più limitato. Abbiamo comunque imparato a impostare un approccio comportamentale più efficace, con una educazione alla dieta equilibrata e sana, considerando la preparazione del cibo, i tempi dei pasti, la motivazione della persona al cambiamento, introducendo un supporto psicologico comportamentale che aiuti a modificare più profondamente le proprie abitudini. Una vera e propria rivoluzione sta poi avvenendo, in questi ultimi anni, con l’introduzione di farmaci innovativi e molto efficaci, che permettono non solo una riduzione marcata del peso corporeo, ma promettono anche di ridurre, prevenire e curare molte complicanze gravi e temibili. Ovviamente resta anche in questo caso fondamentale l’approccio bilanciato e sano alla dieta, e l’aumento dell’attività e dell’esercizio fisico in un approccio globale alla persona e alla malattia.
Globalmente, quindi, la consapevolezza del grado di complessità della patologia e della necessità di una sua gestione e strategie di intervento combinate è cambiata e sta aumentando. Speriamo anche che la possibilità di avere a disposizione una opzione farmacologica più efficace permetta di aumentare sempre più la consapevolezza culturale dell’obesità come malattia, nell’opinione pubblica, nella politica e anche in alcuni operatori sanitari, eliminando la stigmatizzazione delle persone, spesso colpevolizzate ingiustamente per una vera e propria malattia grave, cronica, progressiva e recidivante.
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