I cambiamenti climatici potrebbero sembrare a volte un problema circoscritto all’ ambiente, eppure hanno ripercussioni sulla nostra salute, e si rivelano un flagello per la pelle. Chi l’avrebbe detto? Oggi sappiamo che la cute nella sua estensione, intesa come organo del corpo umano, è esposta in prima linea e paga le conseguenze di escursioni termiche estreme, inquinamento e sbalzi climatici. Sono sollecitazioni che provocano danni all’epidermide, è quanto emerge dall’analisi degli esperti della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST), che hanno inserito questo tra i temi di primo piano del congresso nazionale Special Edition, che si tiene in concomitanza con il XIV International Congress of Dermatology, a Roma dal 18 al 21 giugno, presidente Giovanni Pellacani.
Il riscaldamento globale, complice l’aumento delle emissioni di gas serra, sta portando a un incremento delle temperature medie e a una maggiore intensità delle radiazioni ultraviolette (UV). Secondo il rapporto Climate Change, se le emissioni continueranno a crescere al ritmo attuale, si produrrà un’esposizione sempre più lunga e intensa ai raggi UV, che rappresentano un noto fattore di rischio per tumori della pelle, come melanoma, carcinomi squamocellulari e basocellulari.
Annunziata Dattola, Professore Associato di Dermatologia presso l’Università di Roma, La Sapienza, Segretario Generale dell’International Congress of Dermatology, spiega: “Le radiazioni ultraviolette sono un noto fattore di rischio per i tumori della pelle e la loro intensificazione a causa del cambiamento climatico può aggravare ulteriormente questa problematica. Inoltre, l’alterazione della composizione atmosferica, con un incremento delle sostanze inquinanti e una riduzione dello strato di ozono, contribuisce a un’esposizione maggiore ai raggi ultravioletti, rendendo la prevenzione ancora più cruciale”.
Lo studio di Parker del 2020 evidenzia come ogni calo dell’1% dello spessore dell’ozono comporti un aumento dell’1-2% dei melanomi, fino al 4,6% dei carcinomi squamocellulari e del 2,7% dei carcinomi basocellulari. La diminuzione dell’ozono, quindi, si traduce in un incremento diretto del rischio di sviluppare tumori cutanei, sottolineando l’urgenza di interventi di protezione e prevenzione.
Non sono solo le radiazioni UV a preoccupare. L’inquinamento atmosferico, intensificato dai cambiamenti climatici, ha un impatto diretto sulla superficie cutanea. La pelle è continuamente esposta all’ambiente e risente immediatamente dell’aumento di particolato, ossidi di azoto e altre sostanze che compromettono l’equilibrio della barriera cutanea, favorendo condizioni come acne, eczema e infiammazioni croniche.
La professoressa Dattola, intervenuta nel corso dell’ultima conferenza stampa Sidemast, aggiunge: “L’inquinamento atmosferico non solo aggrava le condizioni preesistenti, ma può anche contribuire all’insorgenza di nuove patologie di competenza della dermatologia. L’incidenza di malattie infiammatorie e infettive della pelle aumenta in modo significativo dopo eventi meteorologici estremi come inondazioni e ondate di calore”. La presenza di inquinanti nell’aria favorisce anche l’aumento di infezioni cutanee e allergie, rendendo la pelle più vulnerabile e meno resistente.
Le condizioni climatiche mutevoli e l’aumento delle temperature contribuiscono anche a un incremento delle allergie cutanee. La concentrazione di CO₂ atmosferica, in aumento a causa delle emissioni di gas serra, favorisce la crescita di piante allergeniche, con un incremento di pollini nell’aria. Questo fenomeno mette a rischio chi è predisposto a manifestazioni come orticaria, dermatiti allergiche e altre reazioni cutanee.
Schachtel e altri autori, nel 2020, hanno evidenziato come l’aumento dell’umidità e delle precipitazioni favorisca la proliferazione di muffe e acari della polvere, aggravando dermatiti atopiche e condizioni allergiche della pelle. La dermatite atopica, che colpisce soprattutto i bambini, ha un’incidenza che varia tra il 5 e il 20% in molte regioni del mondo. Studi recenti indicano un aumento del 14-31% dei ricoveri d’emergenza per dermatite atopica dopo eventi di inondazioni, mentre le esacerbazioni di dermatite e psoriasi nelle aree urbane sono aumentate del 20-40%.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, anche le temperature rigide rappresentano un pericolo potenziale. In Cina, uno studio ha rilevato un aumento del 160% delle visite dermatologiche per dermatite atopica quando le temperature scendevano sotto lo zero rispetto alla media di 22,8°C. In Giappone, uno studio su oltre 100.000 bambini ha riscontrato che una bassa pressione di vapore atmosferico aumenta del 26% il rischio di sviluppare dermatite atopica nei primi tre anni di vita.
Il cambiamento climatico compromette anche l’idratazione della pelle. La scarsità d’acqua e la contaminazione delle fonti aumentano la vulnerabilità alle infezioni cutanee, soprattutto dopo eventi sfavorevoli che rendono difficoltoso l’accesso a fonti di acqua pulita. Per affrontare le sfide cui abbiamo accennato, gli specialisti concordano sulla necessità di un approccio integrato che unisca strategie di mitigazione e adattamento. Il Presidente SIDeMaST, Prof. Giuseppe Argenziano, evidenzia: “Gli effetti del cambiamento climatico sulla pelle sono molteplici e complessi, interconnessi da vari fattori ambientali. È quindi fondamentale adottare misure di prevenzione, come l’uso di filtri solari avanzati, la protezione dall’inquinamento e il miglioramento delle abitudini igieniche, integrate con politiche ambientali volte a ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la qualità dell’aria”.