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Scienziate, oncologhe, astronaute: il problema dello stereotipo è trasversale a tutti gli ambienti

Lo stereotipo è servito: vi ricordate l’eco della polemica social su Samantha Cristoforetti, criticata per essere partita per la sua seconda missione spaziale e aver lasciato i due figli piccoli alle cure del papà? A un astronauta uomo nessuno si sognerebbe mai di fare un’osservazione del genere.

“Qualche anno fa mi avevano invitato a fare una lezione al Karolinska di Stoccolma, uno dei migliori ospedali europei”, racconta Domenica Lorusso, responsabile della ricerca clinica alla Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS di Roma, Professore associato di ostetricia e ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Vice Presidente dell’Associazione Women for Oncology Italy.

In quell’occasione avevo conosciuto il primario di ginecologia: una donna di 40 anni con 5 figli, a prova del fatto che in quel Paese il livello sociale e culturale consente a una donna di realizzarsi non solo sul piano professionale, ma anche di costruirsi una famiglia e anche piuttosto numerosa. È un esempio importante, che dimostra che si può conciliare tutto anche ai massimi livelli, quando la società è supportiva e si ha accanto un partner altrettanto supportivo.

La figura maschile, anche in questo, deve abbattere certi stereotipi: per un compagno come quello della Cristoforetti che rimane a casa con i bambini mentre la mamma va nello spazio, ce ne sono 99 che dicono che la donna dovrebbe rimanere a casa con i figli. Questo è il primo vero problema che dobbiamo risolvere.

A proposito di stereotipo culturale, c’è un aneddoto molto divertente su Rita Levi Montalcini in cui si racconta che, durante la cena sociale di un congresso, le si avvicinò una donna dicendole che era lì perché accompagnava suo marito e domandando a sua volta alla Montalcini se fosse lì per lo stesso motivo. La risposta della scienziata fu: “Sono io mio marito”, a significare che il problema dello stereotipo è trasversale a tutti gli ambienti, anche culturalmente elevati come quelli frequentati da un premio nobel. Io credo che la chiave per uscire da questo loop sia lavorare sui modelli culturali.

Dobbiamo introdurre a scuola lezioni di educazione civica in cui si ridisegna il ruolo della donna nella società e nella famiglia. Credo che, seppur lentamente, le nuove generazioni da questo punto di vista siano più avanti, che siano un po’ meno legate a questa immagine che abbiamo ereditato dai libri di scuola dell’uomo con la clava che va a caccia e della donna accanto al focolare che cresce i bambini.

Non è così, questa peraltro è la storia che raccontano gli uomini e oggi è arrivato il momento di lavorare su modelli culturali anche più adattati a questo nuovo disegno sociale in cui la donna, per definizione, lavora. Dobbiamo quindi metterla nelle condizioni di poter lavorare al meglio, senza per questo essere penalizzata sul piano personale là dove desideri una famiglia. Attenzione però, anche questo è un altro stereotipo da abbattere: le donne che decidono di non costruirsi una famiglia sono altrettanto realizzate”.

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