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Stenosi aortica e gender gap: la rivoluzione della medicina di genere nella cura delle donne


Lo studio RHEIA evidenzia l’importanza di un approccio terapeutico personalizzato per le donne con stenosi aortica, riducendo il gender gap nel trattamento delle malattie cardiovascolari.

In Italia le malattie cardiovascolari sono una delle principali cause di morte, con una particolare incidenza sulle donne, soprattutto con l’avanzare dell’età. Nonostante il forte impatto delle patologie a carico del cuore e delle arterie, le donne continuano a essere sottorappresentate negli studi clinici, con minori probabilità di ricevere trattamenti basati sull’evidenza. Questo fenomeno, noto come gender gap in medicina, ha radici profonde che si riflettono anche nella gestione delle malattie valvolari cardiache come la stenosi aortica.

La stenosi aortica è la malattia valvolare più comune in Italia dopo i 60 anni, caratterizzata da un malfunzionamento della valvola aortica che ostacola il flusso sanguigno dal ventricolo sinistro all’aorta. Sebbene questa patologia stia colpendo un numero crescente di donne, specialmente a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita, le pazienti continuano a essere diagnosticate in ritardo rispetto agli uomini, con complicazioni legate alla specifica anatomia femminile.

Strategia interventistica più vantaggiosa

Un passo importante verso un approccio terapeutico personalizzato arriva dallo studio RHEIA, che per la prima volta ha coinvolto un campione di sole donne affette da stenosi aortica. L’obiettivo dello studio era quello di analizzare quale strategia interventistica fosse più vantaggiosa per il trattamento di questa patologia, particolarmente diffusa nelle donne over 60. Lo studio ha messo a confronto la tecnica mininvasiva di impianto della valvola aortica transcatetere (TAVI) con la chirurgia tradizionale “a cuore aperto” (SAVR – Surgical Aortic Valve Replacement), e i risultati sono stati sorprendenti.

Presentati all’ultimo Congresso della Società Europea di Cardiologia, i risultati dello studio RHEIA hanno evidenziato che le donne sottoposte a TAVI hanno mostrato esiti clinici significativamente migliori rispetto alle pazienti trattate con il metodo chirurgico tradizionale. In particolare, l’intervento TAVI ha ridotto di circa il 50% il rischio relativo di eventi sfavorevoli come infarto, decesso o ri-ospedalizzazione a un anno dall’intervento (8.9% per TAVI vs 15.6% per SAVR). Inoltre, la TAVI si è associata a una durata più breve della degenza ospedaliera e a un miglioramento della qualità della vita delle pazienti, risultando anche più economicamente vantaggiosa, soprattutto per le donne over 70.

Differenze biologiche di cui tenere conto

Questi risultati sono fondamentali non solo per la cura della stenosi aortica, ma anche per il più ampio contesto della medicina di genere. Lo studio RHEIA rappresenta un passo significativo nella lotta contro il gender gap in cardiologia, una branca della medicina storicamente dominata dall’approccio androcentrico. Le malattie cardiovascolari sono spesso diagnosticate e trattate sulla base di studi che non prendono adeguatamente in considerazione le differenze biologiche e fisiologiche tra uomini e donne, determinando un ritardo nelle diagnosi e nel trattamento, soprattutto nelle donne in post-menopausa.

Malattia ancora poco riconosciuta nel gentil sesso

Nonostante la stenosi aortica sia la malattia valvolare più diffusa tra le donne di età compresa tra i 70 e gli 80 anni, essa rimane spesso sottodiagnosticata, soprattutto nelle fasi precoci. Le caratteristiche anatomiche delle donne, come la presenza di camere ventricolari di dimensioni più piccole e la diversa risposta alla malattia rispetto agli uomini, contribuiscono al ritardo diagnostico. Le donne, infatti, arrivano alla diagnosi in media più tardi e, una volta diagnosticata, vengono meno frequentemente trattate in modo appropriato.

Le donne continuano a sottovalutare i rischi cardiovascolari, a differenza degli uomini e questo porta a diagnosi ritardate e a trattamenti meno tempestivi”, afferma Cristina Meneghin, Direttore della Comunicazione Scientifica della Fondazione Italiana per il Cuore. “Lo studio RHEIA è rivoluzionario perché ha finalmente preso in considerazione il genere femminile, individuando un trattamento specifico e più adatto alle caratteristiche delle pazienti”.

Il genere è una variabile che non può essere ignorata

Lo studio RHEIA ha mostrato che la personalizzazione del trattamento, che tenga conto delle differenze di genere, è la chiave per migliorare gli esiti clinici e ridurre la spesa sanitaria. In questo contesto, l’approccio mininvasivo TAVI si è rivelato non solo più efficace, ma anche economicamente vantaggioso, riducendo i costi legati ai ricoveri e alle ri-ospedalizzazioni.

Lo studio RHEIA ci ha insegnato che la terapia deve essere ‘cucita’ sulle esigenze specifiche di ogni paziente e il genere è una variabile fondamentale che non può più essere ignorata, soprattutto in ambito cardiovascolare”, sottolinea Cristina Aurigemma, del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. “In questo modo, possiamo affrontare le malattie cardiovascolari in modo più preciso, migliorando la salute e il benessere delle donne e riducendo i costi per il Servizio Sanitario Nazionale”.

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