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Vulvodinia: una patologia che colpisce il 10-15% delle donne, eppure ancora poco conosciuta

Riceviamo e pubblichiamo l’email di una nostra lettrice, affetta dalla vulvodinia. Il suo è un invito a sensibilizzare tutte le parti in campo – i medici, la politica e le istituzioni – affinché questa patologia venga riconosciuta come merita.

Buongiorno, mi chiamo Valentina Simonetti e sono una paziente affetta da una grave forma di vulvodinia – malattia sconosciuta a molti medici, ma che affligge nell’arco della vita 1 donna su 7 – a causa del ritardo diagnostico (sono arrivata a un centro in grado di diagnosticarmela solamente a seguito di mie ricerche su internet).

Le cure a cui sono stata sottoposta non si sono rivelate idonee, e mi sono ritrovata a vivere in uno stato di dolore cronico, acuto e urente 24 ore su 24, 7 giorni su 7 dal 2019; ho visto la mia vita di giovane donna non solo sessuale, ma emotiva, sociale e lavorativa distrutta. Sono un’invalida senza diritto ad alcuna invalidità, sono una persona che in due anni di cure ha speso più di 10mila euro, solo per tenere sotto controllo la situazione e avere lievi miglioramenti.

Lo Stato non se ne fa carico, siamo invisibili e inascoltate, dovevano essere destinati dei fondi per la ricerca e la formazione riguardo questa patologia e alla neuropatia del pudendo, ma siamo stati esclusi dalla legge di bilancio.

Io continuerò a curarmi come posso, grazie al sostegno della mia famiglia, ma molte di noi continueranno a non poterlo fare e alcune per il dolore potrebbero arrivare anche a gesti estremi (come è già accaduto purtroppo); per noi non esiste supporto né medico né psicologico con tariffe agevolate. Mi auguro che i medici colgano l’invito ad aggiornarsi e informarsi sulla patologia, perché per avere una prima diagnosi, attualmente possono volerci anche 7 mesi di tempo data la scarsità di medici altamente specializzati sul territorio.

A seguito di questa email alla nostra redazione, abbiamo voluto fare il punto contattando la dottoressa Chiara Marra, ginecologa e coordinatrice di un’equipe per il dolore del pavimento pelvico cronico in un Centro privato di Bergamo, per capire a che punto siamo con la vulvodinia. 

Il punto dell’esperta

«Quello che ha scritto Valentina è vero, nel senso che ad oggi la vulvodinia è una patologia piuttosto frequente, visto che colpisce il 10-15% delle donne, eppure allo stesso tempo è ancora poco conosciuta», conferma l’esperta. «Ne consegue un ritardo diagnostico di più di 4 anni – il 45-65% dei ginecologi dice che non ha una conoscenza diagnostica della patologia e una percentuale ancora maggiore ammette di non sapere come trattarla.

I Centri che si occupano di questa patologia in Italia si contano sulle dita di due mani e le donne che ne soffrono sono quindi portate a viaggiare molto e a spendere parecchio denaro per avere sia la diagnosi sia la terapia. Per questo è stato istituito un Comitato formato da Associazioni di pazienti, volontari e medici che si occupano di questa patologia, per sensibilizzare la classe politica sul tema.

L’obiettivo è poter avere dei fondi con cui fare formazione dei medici, informazione della popolazione e avere il riconoscimento di queste patologie da parte del Sistema sanitario – non solo la vulvodinia, ma anche la neuropatia del pudendo -, facendole inserire nel Livelli essenziali di assistenza (LEA), in modo che le pazienti possano accedere alla cure senza doversi sobbarcare di costi importanti.

Per questo abbiamo fatto un convegno a Roma nel mese di novembre che ha avuto buona risonanza, dove alcuni politici hanno accolto con favore il nostro messaggio. Poi, però, nella legge di bilancio non è stato istituito nessun fondo per queste due patologie e questa è stata un po’ una delusione. Come Comitato ci stiamo muovendo sia a livello nazionale sia a livello regionale. La strada è ancora lunga, ma noi continueremo a lavorare per il riconoscimento di queste due sindromi. Ci piacerebbe avere delle risposte e degli impegni concreti dallo Stato, perché c’è bisogno di facilità nell’accesso alle cure che oggi non esiste, sia logistica sia economica».

Le cure disponibili «La vulvodinia e la neuropatia del pudendo sono patologie complesse, che hanno alla loro base diversi fattori causali che le hanno innescate e che le mantengono nel tempo», prosegue la dottoressa Marra.

«Spesso uno di questi è l’ipercontrattilità del pavimento pelvico, che necessita di trattamento fisioterapico, inoltre c’è una componente di ipersensibilizzazione delle fibre nervose, per cui bisogna lavorare sul dolore neuropatico con farmaci specifici; oppure può esserci una componente psicosessuale, a volte anche reattiva al dolore cronico che interviene sull’aerea genitale, per cui c’è bisogno di un supporto psicologico; può esserci anche una comorbilità con l’endometriosi, quindi c’è bisogno anche di una terapia ormonale. A ben vedere quindi, la terapia deve essere personalizzata e multimodale. Significa che queste donne devono affrontare molte terapie costose e, conseguentemente, la difficoltà all’accesso alle cure è indubbia».

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