Al primo trimestre 2025, la riforma dell’assistenza territoriale stenta a decollare: solo il 2,7% delle Case della Comunità è pienamente operativo, mentre gli Ospedali di Comunità arrancano.
Il monitoraggio più aggiornato della Fondazione GIMBE mostra che la riforma dell’assistenza territoriale – parte centrale della Missione Salute del PNRR – registra un preoccupante ritardo. Sebbene al 31 marzo 2025 sia stata rispettata l’unica scadenza nazionale prevista, la trasformazione del Servizio Sanitario Nazionale sul territorio è ancora lontana dall’essere realizzata. L’osservatorio GIMBE ha evidenziato come, nonostante gli obiettivi intermedi siano stati formalmente raggiunti, la reale implementazione delle nuove strutture e dei servizi resta gravemente insufficiente. I dati, basati su fonti ufficiali del Ministero della Salute e delle Regioni, mostrano uno scenario frammentato e non uniforme, con grandi disparità tra Nord e Sud.
Case della Comunità: siamo lontani dalle aspettative
Le Case della Comunità rappresentano uno degli strumenti principali per rafforzare l’assistenza sanitaria di prossimità. Tuttavia, secondo l’analisi aggiornata al 20 dicembre 2024, solo il 2,7% delle strutture previste risulta pienamente operativo, ovvero con presenza sia di personale medico che infermieristico. Un dato ben lontano dalle aspettative fissate dalla riforma dell’assistenza territoriale. Su 1.717 Case della Comunità, per il 62,2% le Regioni non hanno dichiarato attivo neanche uno dei servizi richiesti dal DM 77. Solo 164 strutture hanno dichiarato attivi tutti i servizi obbligatori, ma di queste appena 46 sono realmente funzionanti in modo completo. Il problema non è solo infrastrutturale: l’assenza di personale rappresenta un ostacolo strutturale, con un impatto maggiore nelle Regioni del Mezzogiorno. In Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Marche si osservano i progressi più significativi, con oltre la metà delle strutture dotate almeno di un servizio attivo. Tuttavia, sei Regioni risultano ancora ferme, senza alcuna Casa della Comunità operativa, e molte altre non superano il 5% di strutture funzionanti. Questa disomogeneità mette in discussione l’equità dell’accesso ai servizi sul territorio nazionale.
Ospedali di Comunità: servizi minimi e scarsa copertura
Il quadro degli Ospedali di Comunità, altra colonna portante della riforma dell’assistenza territoriale, appare ancora più arretrato. Dei 568 previsti, solo 124 (pari al 21,8%) hanno almeno un servizio attivo. Nessuna Regione ha però raggiunto la piena operatività prevista dalla normativa, che richiede, tra le altre cose, la presenza medica quotidiana, assistenza infermieristica H24, posti letto adeguati per pazienti fragili e la figura del case manager. I numeri più alti in termini assoluti si registrano in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, mentre otto Regioni risultano ancora a quota zero. Le difficoltà non riguardano solo l’attivazione dei servizi ma anche il completamento delle strutture stesse. Il ritardo infrastrutturale si accompagna quindi a criticità organizzative, aggravando le disparità regionali già esistenti. Le Regioni più avanti nella realizzazione strutturale non riescono comunque a garantire servizi omogenei sul territorio. Anche laddove gli Ospedali di Comunità sono stati attivati, il personale è spesso insufficiente per offrire prestazioni continuative, limitando di fatto l’impatto della misura sul sistema sanitario.
Fascicolo Sanitario Elettronico: digitalizzazione incompleta
Un altro tassello fondamentale della riforma dell’assistenza territoriale è rappresentato dal Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, che punta a uniformare la gestione dei dati sanitari. Tuttavia, al 30 novembre 2024, nessuna Regione ha reso disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal decreto attuativo. Il grado di digitalizzazione varia notevolmente, con Lazio, Piemonte e Sardegna al 94% di completezza e altre Regioni, come Marche e Puglia, ferme al 63%. A complicare ulteriormente il quadro, solo il 42% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione del FSE da parte di medici e operatori sanitari. In molte Regioni del Sud il tasso di consenso è addirittura inferiore all’1%. Questo scenario rappresenta una sfida ulteriore per la piena attuazione della digitalizzazione sanitaria, che rischia di rimanere incompiuta senza una partecipazione attiva dei cittadini e una strategia coerente tra le diverse amministrazioni regionali.