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Una persona con malattie reumatiche su due non riesce ad avere servizi di assistenza e cura

Nella giornata mondiale delle malattie reumatiche che si è celebrata il 12 ottobre, le associazioni dei pazienti reumatici hanno fatto sentire ancora una volta la loro voce. Hanno chiesto un percorso di cura più semplice ed efficace e più certezze rispetto al delicato tema del terza dose vaccinale, che desta non pochi timori.

Il problema di una maglia territoriale di assistenza al paziente reumatico piuttosto fragile è stato messo in evidenza da Antonella Celano, presidente di Apmarr, Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare, che ha snocciolato numeri che emergono dalla prima Indagine nazionale sull’assistenza territoriale integrata in reumatologia, condotta dall’Osservatorio Apmarr, in collaborazione con EngageMinds HUB, centro di ricerca in psicologia dei consumi e della salute dell’Università Cattolica di Milano (www.engagemindshub.com/), su un campione di 450 persone con malattie reumatiche, la più ampia mai realizzata su questo tema i cui risultati sono stati presentati durante un convegno istituzionale che si è svolto a Palazzo Giustiniani.  

Una persona con malattie reumatiche su 2, nell’ultimo anno, non è mai riuscita a usu­fruire dei servizi di assistenza e cura sul territorio e 7 su 10 non sono mai state contattate dal medico di medicina generale e dallo specialista per poter fare una visita di controllo.

Una persona su 3 non ha avuto accesso ad un ambulatorio specialistico vicino a casa e 4 persone su 10 denunciano i lunghi tempi di attesa per poter essere visitate da uno specialista.

Le visite a domicilio dei medici di medicina generale e specialisti sono risultate impossibili per il 70% dei malati reumatici e nel 43% dei casi, per loro, non è stato possibile scegliere lo specialista dal quale farsi visitare.

“L’assistenza territoriale integrata per gli oltre 5 milioni di italiani con malattie reumatiche, di cui oltre 700mila colpite in forma severa e invalidante oggi non esiste e ha bisogno di un robusto intervento migliorativo – spiega Celano -. Siamo stufi di essere trattati come delle palline da flipper che girano, spesso a vuoto, alla ricerca di diagnosi, assistenza e cure, cercando da soli di costruirci un personale filo rosso assistenziale. Gli aspetti strutturali e di sistema sono il primo problema da risolvere nella quasi totalità dei casi delle persone con malattie reumatiche.
Occorre però adattare il nuovo modello di assistenza territoriale in base ai livelli di engagement del paziente, cioè al suo livello di coinvolgimento attivo nel proprio progetto terapeutico. Ciò che occorre potenziare è la “sanità d’iniziativa”, quella che va verso il cittadino e non lo aspetta in ospedale, con nuovi processi e piattaforme codificate e omogenee per le reti reumatologiche, usando le ingenti risorse messe a disposizione dalla Missione 6 Salute del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

Abbiamo la necessità che i medici di base siano formati per poter riconoscere da una serie di esami preliminari quelli che possono essere i pazienti reumatologici, per poterli inviare subito ad un centro qualificato o ad un ambulatorio sul territorio che possa verificare la necessità di un supporto di questo genere – ha spiegato Maria Grazia Pisu -. C’è un altro aspetto: i reumatologi, quando ricevono i pazienti, dovrebbero avere a loro volta una rete di collegamento con gli altri specialisti perché purtroppo le nostre malattie sono multidisciplinari e poco conosciute, di conseguenza se non c’è collegamento tra reumatologici e specialisti di tutti i generi, che sono necessari per la cura completa del paziente reumatologico, noi ci sentiamo persi. Purtroppo questa rete almeno in Lombardia non è ancora così attiva. Un beneficio l’abbiamo solamente per quanto riguarda la conoscenza o la buona volontà dei reumatologici che in rete fra loro cercano di garantire le attenzioni possibili al malato, ma non è questo che vorremmo. Cosa succederà quando il nostro reumatologo andrà in pensione? E se chi lo sostituirà non avrà la stessa rete di contatti? Eppure i casi si contano e molto spesso sono i pazienti più giovani>>.

Sulla terza dose vaccinale anti Covid, secondo Maria Grazia Pisu, presidente Alomar, Associazione Lombarda Malati Reumatici “i pazienti fragili dovrebbero fare la terza dose contro il Covid ma capisco perfettamente i loro timori, per questo chiamano in associazione, perché vogliono essere rassicurati. Nonostante le rassicurazioni dei medici, il timore dei pazienti è quello che la dose di vaccino possa attivare una malattia che magari è al momento tranquilla. Ebbene tutto questo preoccupa. In questo incontro cercheremo di fare chiarezza”.

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