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Università Cattolica, il ministro della Salute Schillaci: “Verso l’ampliamento degli accessi a Medicina”

“Metteremo nel piatto 200 milioni per l’aumento delle indennità degli operatori pronto soccorso. Bisogna riorganizzare le reti di cura”

“Oggi siamo impegnati a colmare una significativa carenza di medici, infermieri e operatori sanitari. Una criticità che deriva da lontano, da una programmazione a volte sbagliata del numero di accessi alla Facoltà di medicina dove solo fino a due o tre anni fa venivano ammessi per ciascun anno tra gli 8mila e i 10mila studenti”. Sono le parole usate dal ministro della Salute Orazio Schillaci che è intervenuto stamani all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica, sede di Roma.

É al lavoro, presso il ministero dell’Università – ha spiegato Schillaci- di un gruppo di lavoro per trovare una soluzione rapida e definire meglio il fabbisogno di medici e adeguare le capacità e l’offerta potenziale del sistema universitario. “I numeri resi pubblici con il decreto dello scorso 10 febbraio relative all’accesso a Medicina e chirurgia – ha precisato – sono provvisori e credo si procederà ad un ampliamento. Allo stesso tempo è fondamentale e prioritario intervenire per arrestare quella che possiamo definire una vera e propria fuga da alcune specialità mediche che purtroppo sono diventate sempre meno attrattive tanto che nel 2022 sono andate non coperte tante borse delle scuole di specializzazione, spesso per mancanza di candidati”.

Segnatamente 180 per anestesia e rianimazione e circa 300 per medicina di urgenza e pronto soccorso. Un fenomeno, ha osservato Schillaci, “che assume in alcuni ambiti dimensioni preoccupanti”, in particolare “nell’area della medicina di emergenza e urgenza”. Dati che “ci mostrano forse una disaffezione verso il Servizio sanitario nazionale, in parte alimentata da una scarsa valorizzazione economica del personale che vi opera, spesso costretto a turni massacranti”. Un primo segnale di attenzione – ha poi sottolineato il ministro “lo abbiamo voluto dare nella Legge di Bilancio prevedendo un aumento dell’indennità degli operatori di pronto soccorso con uno stanziamento di complessivi 200 milioni di euro per l’anno 2024”. “Solo un primo tassello – ha concluso il Ministro – nell’ambito di un disegno strategico di valorizzazione del nostro capitale umano che credo non possiamo più rimandare insieme ad una profonda riorganizzazione del nostro Servizio sanitario nazionale”.

OSSERVATORIO INNOVAZIONE
A proposito della fuga dai pronto soccorso le proposte dell’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità lanciate in una sessione di studio nei giorni scorsi a Roma sottolineano che il Pnrr non basta e che occorre puntare sulla riforma delle reti e su adeguamenti contrattuali e lavorativi Per programmare adeguatamente il fabbisogno degli operatori sanitari nel Sistema Salute in Italia e rendere attrattive le corsie, soprattutto nelle prime linee, oggi disertate e
progressivamente spopolate, non basta attribuire incentivi a medici e infermieri ma occorre puntare sulla riforma delle reti di cura e intervenire con specifici adeguamenti contrattuali e lavorativi puntando anche sul benessere organizzativo e sul welfare aziendale.

E’ quanto emerge dalla sessione di studio e di confronto tra esperti, politici e addetti ai lavori, promossa dall’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità in una tavola rotonda che si è svolta ieri a Roma presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale di Piazza Montecitorio.

“Tutti gli indicatori e gli studi di settore e i dati Ipsos – sottolinea Claudio Zanon direttore scientifico di Motore Sanità – mostrano che gli italiani vogliono che il primo investimento per la loro Salute sia indirizzato a rendere i pronti soccorso più efficienti rendendo agibili, in parallelo e non in alternativa, sia le articolazioni della sanità ospedaliera sia di quella territoriale”.

LA TAVOLA ROTONDA
Alla tavola rotonda, moderata da Luciano Flor ex direttore generale della Sanità della Regione Veneto, sono intervenuti tra gli altri Walter Locatelli, della Direzione scientifica di Motore Sanità, Enrico Rossi, già Presidente Regione Toscana, Carmelo Gagliano, Componente del Comitato Centrale Fnopi e Presidente dell’Opi di Genova, Annamaria Parente, già presidente della Commissione Sanità della diciottesima legislatura, Francesco Gabrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le Nuove tecnologie assistenziali Iss, Fabio De Iaco, Presidente Simeu (Società italiana di Medicina d’emergenza Urgenza), Rossana Boldi, già Vice presidente XII Commissione Affari Sociali della Camera.

Sotto i riflettori i dati sulla numerosità degli operatori sanitari nelle regioni italiane e nei vari paesi europei in rapporto alla tipologia dei rispettivi contesti sanitari, la retribuzione degli operatori sanitari in rapporto al costo della vita in Europa. Numeri da cui emerge una Sanità italiana che rispetto ai punti fermi dell’universalismo ed equità sanciti in Costituzione è sempre più in affanno.

GLI INTERVENTI
“Il benessere lavorativo e il welfare aziendale – ha sottolineato Flor – sono parte delle ricompense da riconoscere al personale ma occorrono anche specifiche previsioni contrattuali per il settore dell’urgenza emergenza”. “Occorre una riforma organica delle reti dell’emergenza-urgenza – ha aggiunto Annamaria Parente – insieme a quella territoriale per assicurare ai cittadini la continuità assistenziale tra territorio e ospedale e viceversa”. “I posti letto degli
Ospedali di comunità vanno concepiti come strutture flessibili anche in vista di prossime pandemie – ha detto Enrico Rossi – strutture intermedie da connettere con gli ospedali per utilizzare i posti letto anche per le urgenze e drenare gli iper afflussi dei codici a più bassa urgenza”.

“Non bisogna ricadere nell’errore di tagliare i posti letto – ha poi sostenuto Rossana Boldi che ha affrontato anche il tema del rapporto tra pubblico e privato – senza potenziare la medicina del territorio considerando che gli investimenti del Pnrr su Case e ospedali di Comunità e apparecchiature, non hanno, per ora, una dotazione certa di personale”. “Se oggi il personale della Sanità esprime una scarsità di vocazione è non solo dovuto a un’inadeguatezza delle buste paga ma anche e soprattutto all’impossibilità di conciliare il lavoro in corsia con una vita privata e familiare decente – l’introduzione di Walter Locatelli all’intervento del presidente della Simeu – i camici bianchi vogliono avere spazi da dedicare alla famiglia e ai figli, al tempo libero oggi completamente negati”.

Un punto quest’ultimo analizzato a fondo dal presidente Simeu Fabio De Iaco: “Il sovraffollamento dei dipartimenti di emergenza e urgenza – ha sottolineato – non sarà risolto con gli investimenti del Pnrr, i medici invocano una riforma complessiva capace di contemperare adeguamenti di salario con la dignità e integrità professionale. Le esternalizzazioni alle cooperative o ai medici reclutati all’estero sono solo la spia di un problema profondo su cui
occorre intervenire subito. Le aggressioni e la malessere lavorativo sono epifenomeni di un ritardo organizzativo che ha superato il livello di guardia. Chiediamo – ha concluso – che il lavoro nelle prime linee sia riconosciuto come usurante in un settore che per tensioni, responsabilità e intensità non ha pari. Un medico che con più di 60 anni continua a fare le notti in pronto soccorso non è eticamente accettabile così come non lo è non riuscire a godere di 7 giorni di ferie consecutivi”.

LE CONCLUSIONI
Per frenare le fughe nel privato e all’estero dei giovani medici, evitare i prepensionamenti, le dimissioni volontarie e ripopolare le corsie oggi ridotte ai minimi termini, soprattutto nei settori salvavaita del 118 e della rete dei Pronto soccorso, non bastano insomma gli adeguamenti economici (2 o 300 euro programmati dal governo e solo a partire dal prossimo anno) ma è necessario restituire alle prime linee ospedaliere e del territorio un benessere lavorativo oggi assente intervenendo anche con una riforma complessiva dei servizi ospedalieri e territoriali da compiere in parallelo evitando squilibri che alla prima crisi, come durante la pandemia, mostrano evidenti ripercussioni a catena su tutti i servizi a partire della prime linee.

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