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“Altrove e ritorno – il racconto di una rinascita”

Il coma e la rinascita. Una nuova vita, la consapevolezza di “cosa succede, dopo”. Sono questi gli ingredienti del libro.

Il 30 marzo 2014 Salvatore viene ricoverato in codice rosso al San Giuseppe Moscati di Napoli per una dissezione aortica. L’unica speranza di sopravvivenza è l’intervento, ma in quelle condizioni le probabilità di riuscire a superarlo sono davvero poche. È quanto racconta Salvatore Casaburi, nel suo libro autobiografico “Altrove e ritorno – il racconto di una rinascita” edito da Intrecci.

“Immaginate che qualcuno vi metta le mani sul petto e vi spinga con forza. Che voi non opponiate resistenza e, come in una scena al rallentatore, cadiate in una vasca colma d’acqua”, ricorda oggi l’autore. “Ecco, fu come un tuffo in una vasca. Un tuffo di schiena con l’acqua che mi risucchiava”.

Dopo venti lunghissimi giorni in terapia intensiva, Salvatore finalmente si sveglia, ed entra nel reparto di degenza cardiochirurgica, riacquistando velocemente le abilità neurologiche e la piena autonomia motoria. “Ho scritto questo libro per testimoniare la mia storia, l’esistenza di un “altrove”, e per dare speranza a chi subisce interventi e si ammala. A queste persone voglio far sapere che si può guarire completamente. Io ne sono l’esempio”.

Il coma e la rinascita. Una nuova vita, la consapevolezza di “cosa succede, dopo”. Sono questi gli ingredienti del libro. “All’epoca ero una specializzanda in cardiochirurgia, contatto il collega strutturato e corriamo a vedere di cosa si tratta. Il giovane uomo (42 anni) versava in condizioni disperate, in pochi giorni si era aggravato al punto tale da avere un edema polmonare acuto che richiedeva l’intubazione orotracheale. Era entrato in coma”, scrive la dottoressa Ester Elena Della Ratta, che ne ha curato la prefazione.

Nel paragrafo successivo, la dottoressa continua così: “Contro ogni previsione, il dottor Carozza eseguì un intervento tecnicamente impeccabile, accorgendosi soltanto al tavolo operatorio dell’errore diagnostico: il paziente non era affetto da endocardite ma da una patologia ancora più devastante, shock cardiogeno secondario a dissecazione dell’aorta con coinvolgimento valvolare aortico (la patologia cardiaca con il più elevato tasso di mortalità).

Il paziente uscì dalla camera operatoria emodinamicamente stabile, ora dovevamo aspettare la risposta neurologica. Venne accolto in terapia intensiva postoperatoria cardiochirurgica e purtroppo, com’era prevedibile, durante i giorni successivi non diede segni di ripresa. Mi sentivo profondamente triste e rassegnata, ogni mattina andavo a trovare quel giovane uomo dagli occhi azzurri, di una bellezza disarmante, che non dava nessun segnale. I giorni in terapia intensiva trascorrevano interminabili, ormai per me era diventato come una persona di famiglia. Avvicinandomi al suo letto, il numero 11, lo salutavo con tono confidenziale: “Ciao Salvatore, facciamo tutti il tifo per te, devi svegliarti al più presto.” Dopo venti lunghissimi giorni, finalmente si svegliò, uscì dalla terapia intensiva ed entrò nel reparto di degenza cardiochirurgica, riacquistando velocemente le abilità neurologiche e la piena autonomia motoria. In breve tempo venne dimesso”.

Ma non è tutto. Un nuovo imprevisto è subito in agguato. Senza spoilerare oltre, invitiamo i lettori a leggere questa straordinaria testimonianza di un’amicizia nata in corsia in situazioni tragiche, tra medico e paziente. Una bella storia che va oltre il dovere professionale, che tocca le corde del cuore e che unisce le persone. Perché è nelle difficoltà che l’uomo dà il meglio di sé.

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