Servono subito politiche di attenuazione del rischio
“L’antibiotico resistenza è un problema epocale tanto da essere definito la pandemia silente. Noi abbiamo vissuto il Covid e sappiamo cosa sia una pandemia. Tutti i clinici si chiedono quale sarà la prossima pandemia ma non ci rendiamo conto che c’è già in atto e da anni una pandemia rappresentata appunto dalla antibiotico resistenza”.
Così Antonia Ricci direttore generale dello Zooprofilattico di Venezia intervenuta alla sessione sull’innovazione per una salute globale di Mega Salute, organizzata a Padova nei mesi scorsi da Motore Sanità.
“L’antibiotico resistenza – aggiunge in questa intervista – è un fenomeno capace di produrre nel mondo un milione e 250.000 morti ogni anno.
Quindi veramente con un impatto devastante. L’antibiotico resistenza è legata all’uso degli antibiotici nei diversi settori della clinica e della chirurgia e quindi più in generale della pratica in clinica medica umana ma ha anche un’origine importante dall’uso di antibiotici in zootecnia e nell’uso degli antibiotici negli animali, in particolare negli animali allevati. Esistono politiche efficaci per ridurre l’antibiotico resistenza che devono essere messe in atto ormai senza più ritardi e senza indugi. Mi riferisco al cosiddetto uso prudente degli antibiotici.
L’antibiotico va utilizzato in veterinaria e in medicina umana solo quando serve. Ricordiamoci che gli antibiotici servono contro i batteri quindi sono assolutamente inutili per tentare di curare infezioni virali. Soprattutto prima di una terapia antibiotica è fondamentale fare un antibiogramma cioè vedere se il microrganismo che produce quell’infezione è sensibile o resistente alla molecola che noi utilizziamo.
Quindi il concetto chiave è non usare gli antibiotici in modo indiscriminato ma utilizzarli solo quando servono e utilizzare la molecola giusta per le persone giuste. Ricordiamo che la terapia antibiotica deve essere sempre prescritta da un medico e che va seguita in modo attento.
Quindi se il medico prescrive cinque giorni di terapia facciamone cinque e non inventiamoci di farne tre o sette perché anche ridurre la durata della terapia aumenta la possibilità di creare dei batteri resistenti”.
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