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Il mare è malato: l’impatto umano minaccia la salute marina dal mediterraneo al polo nord

La salute dei nostri oceani è in uno stato pericoloso, soffocata dall’impatto inarrestabile delle attività umane. Che sia per l’inquinamento diretto o per gli effetti indiretti del cambiamento climatico, i segni della transizione dell’uomo sono ormai evidenti in ogni angolo del globo, dal Mediterraneo alle gelide acque del Polo Nord.

La salute dei nostri oceani è in uno stato pericoloso, soffocata dall’impatto inarrestabile delle attività umane. Che sia per l’inquinamento diretto o per gli effetti indiretti del cambiamento climatico, i segni della transizione dell’uomo sono ormai evidenti in ogni angolo del globo, dal Mediterraneo alle gelide acque del Polo Nord. A farne la tragica diagnosi è stato un raduno di esperti al recente convegno “Mare e salute”, che ha riunito istituzioni, enti di ricerca e il terzo settore dedicato alla prevenzione sanitaria e alla tutela degli ambienti acquatici e marini.

Questi esperti avvertono che il benessere del nostro pianeta e dell’umanità stessa è strettamente legato alla salute dei nostri oceani. Questa prospettiva, nota come “salute planetaria”, è sottolineata negli ultimi trattati delle Nazioni Unite in materia. La collaborazione scientifica e le partnership istituzionali sono viste come le strategie preferite per generare conoscenza e sviluppare strategie per affrontare questo problema urgente.

“Il mare svolge un ruolo centrale nel mantenimento dell’equilibrio degli ecosistemi, che a sua volta influisce sulla nostra salute e sul nostro benessere”, ha dichiarato Andrea Piccioli, Direttore Generale dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità). “Ecco perché stiamo unendo le nostre conoscenze per valutare la salute del mare utilizzando un approccio ‘one-water’ per ‘one-health’. L’impronta dell’attività umana è evidente a tutte le latitudini. Le nostre spedizioni in quattro oceani e dieci mari hanno scoperto sostanze chimiche persistenti risalenti a cinquant’anni fa, così come tracce del recente virus SARS-CoV-2, che è arrivata come una scoperta inaspettata”.

Durante la conferenza, l’Ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ha sottolineato il legame tra gli oceani e il benessere delle comunità. Con il 70% del nostro pianeta ricoperto da mari, rappresentano un elemento critico per la salute umana. La Marina ha monitorato attivamente i parametri ambientali marini per accertare lo stato di salute degli oceani e proteggerne il benessere. Attraverso sinergie istituzionali e un approccio collaborativo, la Marina si impegna a sensibilizzare sulla conservazione marina. La loro partnership con la ISS è in linea con questo obiettivo, fornendo alle forze armate un’importante via per servire il paese.

La conferenza è servita da piattaforma per presentare vari progetti interistituzionali volti a proteggere il mare. Uno di questi progetti è “Sea Care”, una partnership tra l’ISS, il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA), la Marina e diverse università. Nell’ambito di questa iniziativa, i ricercatori si imbarcano fisicamente sulle navi della Marina per condurre campionamenti negli oceani di tutto il mondo. Inoltre, il progetto Marine Ecosystem Restoration (MER), promosso dall’ISPRA (Istituto Nazionale per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, delinea azioni per il ripristino degli ecosistemi marini.

Il progetto Sea Care: microplastiche, virus e inquinanti globali

Il progetto Sea Care, uno sforzo di ricerca innovativo incentrato sui rischi per la salute legati all’ambiente e al clima dal punto di vista della salute planetaria, dura tre anni. Utilizza un sistema di monitoraggio strutturato per raccogliere campioni ed eseguire misurazioni e analisi lungo le rotte regolari delle navi militari, inclusa la nave scuola Amerigo Vespucci. Questi sforzi mirano a raccogliere dati completi sulla salute del mare.

Le analisi condotte nell’ambito del progetto hanno rivelato la presenza di diverse specie di virus e batteri nei nostri oceani. I batteri Vibrio, che comprendono circa 100 specie, sono ubiquitari negli ambienti marini, con circa una dozzina di specie patogene per l’uomo. Questi batteri fungono da indicatori del cambiamento climatico. Mentre le temperature in aumento del nostro pianeta alterano gli oceani, i vibrioni si stanno moltiplicando nelle aree in cui abitavano in precedenza e colonizzando regioni precedentemente non interessate, grazie a condizioni favorevoli di salinità e temperature più elevate. Inoltre, la scoperta inaspettata di tracce di SARS-CoV-2 in alcuni campioni in mare aperto suggerisce la portata pervasiva del virus e le potenziali inefficienze negli scarichi delle acque reflue in determinate aree.

Le microplastiche, una preoccupazione urgente per la salute marina, sono state trovate in vari campioni, con una prevalenza maggiore nei mari più chiusi come il Mediterraneo. Questa scoperta è stata resa possibile attraverso l’applicazione dei metodi abitualmente utilizzati dall’ARPAER (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) per la “strategia marina”. Inoltre, uno studio preliminare condotto su aree marine contigue suggerisce che le microplastiche possono fungere da vettori per microrganismi, compresi quelli potenzialmente pericolosi per l’uomo. Questo fenomeno desta particolare preoccupazione, in quanto la proliferazione di agenti patogeni, guidata da salinità e temperature alterate dai cambiamenti climatici, potrebbe dar vita a nuovi scenari di rischio.

Inquinanti globali, inclusi PFAS (per- e polifluoro sostanze alchiliche), sono diventate sempre più diffuse in tutto il mondo. Tracce di queste sostanze sono state trovate nella maggior parte delle acque nazionali e internazionali, compresi i campioni raccolti al Polo Nord. Sebbene le concentrazioni riscontrate non pongano problemi immediati per la salute, la diffusione globale di questi inquinanti e i loro effetti diretti e indiretti sulla salute rimangono argomenti che richiedono ulteriori studi.

Il progetto Sea Care funge da piattaforma eccezionale per lo sviluppo di nuove tecniche analitiche. Università come Padova e “La Sapienza” di Roma hanno contribuito al progetto sviluppando metodi di ricerca “untarget” per rilevare gli inquinanti in assenza di standard analitici. Inoltre, sono stati sviluppati metodi strumentali rapidi dotati di sensori spettroscopici miniaturizzati, che mostrano un notevole potenziale per la caratterizzazione degli inquinanti antropici nelle acque marine.

L’importanza e gli obiettivi del progetto

Il progetto Sea Care mira a stabilire una partnership stabile e un approccio metodologico uniforme e sostenibile per superare i limiti delle attuali analisi site-specific degli ambienti marini. Spesso condotte con metodi eterogenei in aree confinate, queste analisi non riescono a fornire un quadro completo della contaminazione dei nostri mari e del suo impatto sulla salute umana, in particolare in relazione ai cambiamenti climatici. Durante il convegno sono state presentate osservazioni preliminari basate sulle analisi campionarie. Il progetto funge anche da palestra per lo sviluppo della Public Health Intelligence gestita dal gruppo malattie infettive dell’ISS. Questa intelligence può tracciare scenari COVID-19 e altri focolai epidemici, con particolare attenzione ai paesi visitati durante le spedizioni navali.

Il modello unico di sinergia istituzionale che caratterizza il progetto Sea Care ha suscitato interesse internazionale come approccio sostenibile in grado di fornire campionamenti e misure estesi e prolungati. Date le sfide globali senza precedenti che affrontiamo nei domini ambientali e climatici, in particolare in ambienti vasti e complessi come l’oceano, questo approccio offre una visione panoramica degli impatti delle azioni umane sugli ecosistemi marini. Apre la strada allo sviluppo di indicatori armonizzati per misurare gli effetti della prevista transizione verde sul mare e, di conseguenza, sulla salute umana.

Il mal di mare è un chiaro appello all’azione. La comunità globale deve riconoscere l’urgente necessità di affrontare le attività umane che degradano la salute dei nostri oceani. Attraverso sforzi collaborativi, ricerche approfondite e partenariati strategici, possiamo lottare per un futuro più sano per i nostri mari e, a nostra volta, salvaguardare il benessere del nostro pianeta e dell’umanità nel suo insieme.

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